Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, guarda al grande valore, non solo simbolico, della sedicesima edizione dell’Artigianato in Fiera. Risponde a brevi domande sul successo di questa tradizione italiana ed europea, che non si ferma mai e continua a innovarsi. Ma, in più, fa un paragone di estremo interesse, che ha una valenza educativa ed economica, sulla grande tradizione del lavoro dell’artigianato rispetto alla crisi economica che tutto il mondo sta attraversando.
Vittadini, che significato si può cogliere nel successo dell’Artigiano in Fiera, rassegna di ben 110 Paesi del mondo arrivata alla sedicesima edizione?
Ci sono almeno due motivi. Innanzitutto pensiamo all’Italia, alla tradizione italiana che ha costruito in millenni di storia dei grandi mestieri, dove si mescolano e si uniscono mani e cuore degli uomini, che fanno cose belle, che sanno realizzare prodotti di incredibile bellezza e che rappresentano il contrario di quella che viene chiamata standardizzazione dei prodotti. L’artigiano crea un prodotto per un altro uomo; ha sempre presente, ha sempre il desiderio di un rapporto con un’altra persona. E in questo suo lavoro esalta la bellezza della realtà, la bellezza che si può vivere tutti i giorni. Poi, nel lavoro artigiano, c’è il senso della realtà: si vive nella realtà del lavoro senza sbandare mai nella ricchezza virtuale, nel meccanismo delle scorciatoie verso quella ricchezza gonfiata che alla fine porta alle crisi e alle catastrofi economiche.
Che cosa rappresenta oggi, proprio nel mezzo di una devastante crisi finanziaria ed economica globale, un’organizzazione del lavoro come quella di una bottega artigiana?
Nella bottega si pensa continuamente all’innovazione, ai prodotti da fare per altri uomini. L’impegno principale non è il valore di una cosa, non è il profitto, ma il desiderio di creare una bella cosa, di trarre bellezza dal lavoro che si sta facendo per un’altra persona. È un metodo insostituibile per affrontare il lavoro. Diventa in questo modo il vero principio, il vero «motore» della ricchezza delle nazioni, quello che l’uomo sa inventare, rispondendo al suo desiderio di creare e ai bisogni e ai desideri di altri uomini.
Si dice che la grave crisi che stiamo attraversando è, in fondo, il prodotto perverso di un distacco dal lavoro ideativo e manuale. L’artigianato può essere una risposta educativa, una positiva scelta antropologica o è ancora qualche cosa di più?
Dobbiamo toglierci dalla testa un luogo comune: quella di pensare che l’artigianato sia una semplice creazione di oggetti, oppure di prodotti esotici. Quando si pensa al prodotto dell’artigianato si va a pensare al «merletto», o ad altre cose di piccola dimensione, quasi marginali nella vita degli uomini. Questa è un’autentica distorsione. L’artigianato, ripeto, è un metodo di lavoro e di produzione che ha lo stesso valore della grande impresa, della macchina utensile, di qualsiasi altro modo di produrre. Non c’è alcuna discontinuità tra un modo di produrre e un altro. Con l’artigianato non si fa neppure l’esaltazione del «piccolo è bello». L’artigianato è un metodo di produzione in cui un io realizza un’idea per un altro io, attraverso una tradizione secolare dove la perfezione e la bellezza della realizzazione hanno un posto principale, preminente. Questo alla gente piace ed è per questo che il lavoro artigianale ha un grande successo.
Per anni si è accostato il concetto di crescita all’immagine di fabbrica, di industria, di grande impresa. Negli ultimi 25 anni la finanza è stata addirittura scambiata per l’unico motore dello sviluppo. Ma la tradizione artigiana non riproduce invece l’esatto rapporto tra lavoro e prodotto, tra investimento e profitto?
Certamente, ma non si deve mettere in contrapposizione una cosa all’altra. Ciò che distingue il lavoro artigiano è soprattutto il metodo, il rapporto tra le persone e il rapporto con la realtà.
Che cosa può indicare oggi ai giovani, in un paese invecchiato come l’Italia, il valore della tradizione artigiana?
Può indicare una tradizione da cui ripartire. Ma vorrei dire che non la indica solamente ai giovani, la può indicare a tutti. Usciamo dal luogo comune che l’artigianato si configuri come la «creazione del merletto». È un’altra cosa: è una tradizione a cui si accompagna sempre una revisione critica. È un rischio educativo, come diceva Giussani. Il rischio educativo non è solo un insegnamento per indirizzare bene gli studi in una scuola. Se uno osserva bene, il rischio educativo è anche un grande programma economico.
(Gianluigi Da Rold)