La Scala apre la stagione con Don Giovanni di Mozart. Il compositore ha, poco nota, una biografa d’eccezione: si tratta di Paolina Leopardi, la sorella prediletta di Giacomo.

Riservata, finissima interprete delle lettere, traduttrice, amante del melodramma e amica di Marianna Brighenti, un promettente soprano di quei tempi. Grazie all’epistolario tra le due giovani donne, sappiamo qualcosa di più sulla vita familiare di casa Leopardi, sulla reclusione imposta dai genitori alla figlia a Recanati, vinta solo dall’amore per le lettere e per la musica. E’ indubbia una sovrapposizione tra le due figure dei padri di Mozart e di Leopardi, Leopold e Monaldo, accomunati dall’avarizia, tra le due città vissute dai due come prigione, Salisburgo e Recanati, tra il genio musicale e poetico dei due grandi, tra le loro due morti improvvise.



Il breve scritto fu pubblicato anonimo nel 1837 come dono per una festa di nozze. In una lettera dell’anno seguente  Paolina si svela autrice dell’operetta. L’edizione del 2010 a cura di il notes magico, Mozart, riproduce senza alcuna modifica la bella prosa ottocentesca della colta sorella di Giacomo.

La biografia di Paolina, più tematiche che cronologica, non si apre a Salisburgo, come sarebbe prevedibile, ma a Praga, nello scenario incantato di quella città in cui Mozart compose il suo Don Giovanni. L’autrice racconta la nascita della sinfonia dell’opera, che doveva andare in scena il giorno dopo e la sinfonia doveva essere ancora scritta. Mozart se ne stava con gli amici, dimentico di ciò che aveva da fare. Gli chiedono lo spartito per ricopiarlo. Il compositore si ritira nella camera vicina e scrive: da mezzanotte alle quattro compone, i copisti solo alle sette di sera consegnano agli orchestrali le parti ancora umide. Nessuna prova, ma grande attenzione da parte dei suonatori che leggevano lo spartito per la prima volta e, sotto la direzione di Mozart, caldissimo successo.



Paolina riserva uno spazio cospicuo all’epistolario mozartiano, pubblicato in Germania dalla moglie pochi anni prima, in cui è raccolta la corrispondenza con la famiglia nei viaggi in Francia, in Italia, in varie parti della Germania. Lettere ammirabili per la loro semplicità e per la costanza mostrata da Mozart in tutte le sue traversie, commenta Paolina.

Si rilevano le umilianti condizioni dei suoi primi anni, le attese estenuanti nelle anticamere dei potenti, le esibizione volute dal padre quasi fosse un fenomeno da baraccone, che procuravano denaro all’avaro genitore, che non si curava affatto della salute precaria del figlio. Ma l’avidità di Leopold non contaminò mai la purezza del genio: il suo talento è rimasto puro da ogni macchia di questo genere e, uscito dalle fasce tra le quali lo tratteneva l’avarizia paterna, simile a un’aquila prese il suo volo verso il più alto punto dei cieli per non discenderne più.



Oramai affermato, Mozart si stabilisce a Vienna, città in cui si trovano anche Gluck e Haydn: i tre musicisti si riunivano per giocare a bocce, canticchiando; finite le partite, ognuno si ritirava a scrivere quello che avevano composto durante il gioco. A Vienna Mozart si sposa e Il ratto del serraglio documenta la dolcezza della sua nuova condizione. Ma in quella città e in mezzo alla fama si rivelano anche le miserie del genio, l’abitudine ai debiti, la prodigalità dei prestiti agli amici. La grande stagione creativa di Mozart si spegne lentamente, ma donando i frutti più splendidi: il Requiem, richiesto da un misterioso committente. Mozart si sfinì in quel lavoro, lasciandolo incompiuto: aveva presentito che quell’ultima opera sarebbe servita ai suoi funerali.

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