Da un paio di settimane l’Italia è governata da un gruppo di professori, i più autorevoli dei quali provenienti dalle universita private di Milano. A loro, il Capo dello Stato ha affidato il compito di intervenire con urgenza per evitare il collasso finanziario dell’Italia e dell’Europa. Secondo molti osservatori, la crisi che stiamo attraversando ê la peggiore dalla seconda guerra mondiale.
In questa cornice, il discorso di S. Ambrogio non poteva non assumere un rilievo speciale. Quasi a completare, sul lato religioso, il contributo che Milano è chiamata a dare in questo momento storico così delicato.
E puntualmente, l’arcivescovo di Milano non è mancato all’appuntamento. Tra le tante sollecitazioni che il discorso contiene, ne colgo tre che mi paiono particolarmente preziose.
In primo luogo, la natura della crisi – che si manifesta nella forma di crisi finanziaria, ma che, in realtã, è crisi antropologica. Icasticamente Scola dice, “peggio delle cicale”: perchè lo smarrimento in cui ci ritroviamo nasce dalla pretese dell’uomo contemporaneo di essere creatore della realtà. Cioè, in fondo, di poterne prescinderne. Senza rendersi conto che, quando tutto diventa possibile, niente è più reale. Come nel caso clamoroso della finanza globale, che ha moltiplicato profitti e debiti del tutto a prescindere da quanto accadeva al di fuori dei suoi circuiti. Ben vengano, dunque, governi tecnici in grado di fare quegli interventi d’urgenza di cui abbiamo bisogno. Ma non si pensi di uscire dalla crisi senza avere il coraggio di affronatare i veri nodi della questione.
In secondo luogo, la forza dello sguardo di fede, capace di leggere la storia in modo originale. Scola mostra, in azione, la sapienza del metodo della Fides et Ratio. Il punto di vista della fede allarga la ragione, permettendo di arrivare più in profondità. In questo modo, egli coglie due risultati. Il primo è arricchire il dibattito pubblico, offrendo un contributo che può essere riconosciuto e apprezzato da tutti. Anche da chi non parte dalla fede. Il secondo è sciogliere le ruvidezze o le incomprensioni che l’idea di laicità ha suscitato all’interno del mondo cattolico negli ultimi decenni. L’originalità del punto di vista cristiano non va nè perduta nè nascosta, ma va esaltata attraverso la sua declinazione nel linguaggio della ragione, che è terreno comune con tra gli uomini di buona volontà. In questo modo, l’Arcivescovo si propone di andare oltre una lunga diatriba che, oggi, ci si può lasciare dietro le spalle.
Infine, la presenza della Chiesa e dei cattolici nella vita politica. Se la crisi ha una portata antropologica, nessuno si faccia illusioni. Abbiamo bisogno di buona politica. Ma anche questa non basterá, perchè la partita è ancora più impegnativa. Ciò di cui abbiamo bisogno, infatti, è una vita buona. Per questo, non basteranno politici capaci senza uomini di pensiero che aprano nuove vie. E non sarà sufficiente il richiamo ai valori senza l’esempio di uomini giusti e coraggiosi. La politica non basterá senza un’economia in grado di riconoscere le proprie esagerazioni e senza una società disposta ad assumersi nuove responsabilità. La sfida ê sfida di popolo.
In questo senso, il discorso di Scola pone la Chiesa, in primis quella ambrosiana, nella carne della Storia. Di impegno politico dei cattolici si può e si deve parlare. Sapendo, però, che tale impegno riguarda tutti e che consiste, prima di tutto e fondamentalmente, di una conversione. Di noi stessi, prima, e del mondo, poi.