“24 agosto 2010. Corvetto:  vigile aggredito da una ventina di persone che liberano l’uomo appena arrestato dall’agente”. “7 settembre 2010. Il coprifuoco non ferma racket e risse al Corvetto”. “29 settembre 2010. Retata al Corvetto. Sgominata una banda di spacciatori di cocaina”. Bronx, terra di nessuno, far-west o,  più semplicemente, uno dei tanti quartieri di Milano?



Il Corvetto, una delle zone di Milano più antiche, già testimone di una città che non c’è più, ma di cui conserva le tracce, è esemplare riflesso della metropoli  di oggi perché raccoglie un’eterogeneità di esperienze e di situazioni che si alternano senza soluzione di continuità.  

L’immagine migliore per descrivere il quartiere Corvetto è quella dell’arcipelago. Per chi osserva da fuori sembra un contesto omogeneo, ma quando la distanza si riduce e si cammina nelle vie, si sosta nelle piazze, si incontrano le persone ci si accorge che si tratta di un  arcipelago  fatto di tante isole, dove le situazioni di fragilità si con-fondono con quelle di benessere, dove il confine tra integrazione ed esclusione attraversa più volte la stessa via, dove le parole “noi” e “loro” servono a raccontare mondi vicini spesso in conflitto tra loro.



La stessa collocazione del quartiere si presta a letture estreme. Vivere al Corvetto significa stare in periferia oppure essere a due passi dal centro? La linea gialla della metropolitana, lo scalo ferroviario di Rogoredo, l’accesso al sistema autostradale e numerosi collegamenti di superficie fanno di quest’area un nodo da cui si dipartono numerose reti.

Ma questa  situazione può avere significati assai diversi: una grande opportunità di connessione con il mondo e quindi una porta aperta verso le mille occasioni che il sistema metropolitano è in grado di offrire oppure una minaccia all’identità del quartiere che rischia di diventare un’area di passaggio, una sorta di “terra di mezzo” densa di pericoli perché, di fatto, abitata ma non vissuta.



Eppure il Corvetto non è solo criminalità, solitudine e paura. Limitarsi a questi soli colori sarebbe tradire la vivacità e il dinamismo di un quartiere dove sono numerosi i luoghi che  generano aggregazione e danno risposta al bisogno delle persone di essere ascoltate e accolte.

Non si tratta solo di realtà del terzo settore e del volontariato orientate per vocazione alla solidarietà verso i più deboli e tese a promuovere la coesione sociale, ma anche di imprese che non hanno progettato a posteriori la loro responsabilità sociale, ma la incarnano nelle loro stesse attività. Attività che non producono solo un profitto destinato a compensare il rischio di impresa, ma anche un valore aggiunto sociale perchè creano legami e appartenenze. 

È il caso della palestra di viale Lucania con annessa piscina che propone corsi rivolti a un pubblico particolare come quello di mamme, bambini e anziani e crea di fatto un punto di aggregazione per coloro che trovano in questo luogo un’occasione non solo di benessere fisico, ma anche di incontro e di condivisione che si riversa nella vita quotidiana del quartiere. Il fitness e il wellness diventano strumenti di un welfare comunitario che rompe i tradizionali schemi e mette in gioco le persone. 

C’è anche il caso dell’associazione di imprenditori stranieri che offre servizi di supporto allo start-up dell’impresa e di accompagnamento al suo sviluppo, mettendo insieme un approccio economico ed una dimensione sociale che genera aggregazione e inclusione sociale. Lo straniero, infatti, porta con sé un bagaglio di esperienze e di conoscenze che si riflette dentro l’impresa e che arricchisce anche dal punto di vista culturale coloro che ne beneficiano.

Al Corvetto, il sostegno pubblico alle imprese previsto dalla legge 266/97 è diventato un effettivo volano dello sviluppo sociale e ha realizzato le finalità per cui è stato pensato.

Il sostegno ad alcune  attività commerciali o di servizio alle famiglie ha favorito l’occupazione di qualche giovane del quartiere e ha dato nuovo impulso a realtà imprenditoriali radicate nel quartiere. In questo modo e con questi strumenti il controllo sociale lascia spazio alla prevenzione e, soprattutto, all’educazione; certamente non è la panacea di tutti i mali, e tuttavia il cambiamento di un pezzetto di città non può che avvenire attraverso il cambiamento della convivenza sociale attuata da persone, che realizzano stili di vita e ambiti capaci di dare fiducia.

“Quartieri in Bilico”, ricerca effettuata dal Centro per lo studio della moda e della produzione culturale dell’Università Cattolica.

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