L’inizio della primavera è il momento migliore per visitare la chiesa di Santa Maria delle Grazie, cuore della presenza dei Domenicani a Milano. Se dopo aver percorso la navata e aver ammirato la sagrestia vecchia si esce nel chiostrino, ci si trova in un piccolo angolo di pace, ingentilito dalla prima fioritura delle magnolie. All’ammirazione per l’imponenza della costruzione si unisce quella per la bellezza della vita che rinasce.
Nel 1460 il conte Gaspare Vimercati, comandante delle truppe francesi di Francesco Sforza, donò ai Domenicani un terreno a Porta Vercellina attorno all’oratorio di famiglia, ove si era fatto effigiare con la moglie e i figli sotto il manto della Madonna. Quella cappella dedicata alla Madonna delle Grazie diventò il perno del primo santuario mariano di Milano. Nel 1463 arrivarono i primi sette frati, che furono alloggiati dal conte in un edificio provvisorio, in attesa della costruzione della nuova chiesa, iniziata nel 1466 su progetto di Guiniforte Solari e completata nel 1490.
Ludovico il Moro aveva molta stima dei frati per la loro santità e si recava spesso alle Grazie per godere della loro conversazione; egli coltivava il sogno di diventare un principe del Rinascimento e di fare di quella chiesa la più bella di Milano. A questo scopo vennero ingaggiati Bramante e Leonardo.
La facciata tipicamente lombarda a capanna con il portale a forma di protiro affaccia su una ampia piazzetta. Alla sua sinistra sorge il Cenacolo, con l’Ultima cena di Leonardo.
L’interno della chiesa è a tre navate divise da colonne di granito; la navata centrale è il doppio di quelle laterali, sulle quali si aprono le cappelle. Lo sguardo del visitatore, più che soffermarsi sulla fittissima decorazione pittorica e sulla copertura a crociera cordonata, corre al presbiterio, là dove pende la grande croce che dà l’orientamento a tutto l’edificio. La luce stessa guida l’occhio a riposare sulla costruzione di Donato Bramante: un grande cubo, della misura di 17,20 metri per lato. Alla sommità si impostano quattro grandiose arcate che sostengono la cupola. La decorazione a graffito e i 16 oculi nella calotta della cupola donano all’opera bramantesca luminosità e leggerezza impensabili in una costruzione così imponente e l’assenza di affreschi fa risaltare la purezza delle linee architettoniche.
L’ultima tra le cappelle laterali sulla sinistra corrisponde all’origine dell’intero complesso: all’altare vi è la Madonna delle Grazie, che accoglie sotto il suo manto protettivo la famiglia del primo mecenate. Sul bordo del manto azzurro si distinguono le parole di una delle più antiche e preziose antifone mariane, l’Alma Redemptoris Mater. Più volte rimaneggiato, questo piccolo spazio conserva una atmosfera di raccoglimento e di invito alla preghiera. Da qui si può passare nella sagrestia vecchia, edificata da Bramante per volere di Ludovico il Moro e poi uscire nel chiostrino ed ammirare la splendida veduta della tribuna con la sua ricca decorazione.
L’intensità della vita religiosa dei Domenicani è testimoniata dal fatto che già prima della fine del Quattrocento furono tre i beati che vi operarono. Qui si insediò anche il tribunale dell’Inquisizione, trasferito da sant’Eustorgio, dove i frati non avevano aderito alla riforma dell’Ordine. Qui si costituì la confraternita di Santa Corona per la cura e l’assistenza degli ammalati. Qui i milanesi si recavano nei tempi in cui infuriava la peste per cercare salvezza e aiuto nella Madonna delle Grazie. Dopo la soppressione dei Domenicani nel 1799, l’edificio venne abbandonato e adibito a scopi ben lontani da quelli per cui era stato costruito; solo nel 1911 i frati tornarono e ripresero possesso degli edifici, operando lentamente i necessari restauri.