Che cosa voglia dire fare l’imprenditore, Franco Cantù lo ha imparato a 14 anni. «Era il mio primo giorno di lavoro come apprendista gommista – racconta -. Il capo mi ha chiesto di andargli a prendere il martello, ma nella cassetta degli attrezzi ne ho trovati due: uno grosso e uno piccolo. Gli ho portato il secondo e quando lo ha visto, lo ha lanciato a 50 metri di distanza, gridandomi: “Il martello è quello grosso”».



Una reazione inconsulta, certo, ma anche un imprevisto di quelli che nella vita lavorativa di una persona capitano quasi ogni giorno. E che in quanto tali richiedono un adeguamento per non soccombere di fronte alla nuova situazione.

Franco Cantù, come andò a finire con il capo?

Mi chiese di andare a recuperare il martello piccolo che aveva scagliato fuori dall’officina e poi di portargli l’altro, quello più grande. Per un istante sono rimasto incerto se mandarlo a quel paese o obbedire, poi ho fatto la seconda cosa. E quel particolare mi ha salvato: tutto il resto, sia come operaio sia, in seguito, come imprenditore, è venuto obbedendo. Non come una forma di cieco fideismo, ma come capacità di fidarmi della realtà.

Ma da apprendista come ha fatto a diventare imprenditore?



La mia gavetta da gommista è stata molto dura, negli anni Ottanta lavoravo tutta la settimana, il sabato e la domenica mattina per 300mila lire al mese. Dopo dieci anni, il datore di lavoro, quello del martello, che nel frattempo aveva totalmente cambiato atteggiamento nei miei confronti, mi ha venduto la sua attività, un’impresa da gommista a Cassano d’Adda. E così a 24 anni facevo già l’imprenditore.

Quanti imprenditori di 24 anni ci saranno oggi in Italia?

Credo molto pochi, adesso l’età media si è alzata. Ma allora avevo addosso un’energia e non mi interessava di nulla, se non di lavorare e di costruire qualcosa. In 20 anni di imprenditore però ho conosciuto due fasi molto diverse, anche se la mia azienda è sempre rimasta la stessa. Per i primi dieci anni, ero un imprenditore nel senso classico della parola. Avevo comprato un capannone, avevo investito, pensavo a pagare i debiti, ma essenzialmente ero da solo. Me ne sono accorto negli anni Novanta, quando è arrivata la prima crisi.

E come l’ha affrontata?



Non dormendo la notte e cercando di risolvere tutto da solo. È stato un momento molto difficile, vissuto con grande agitazione. Alla fine sono riuscito a venirne fuori, mi sono detto: «Bene, sono stato bravo». E ho ricominciato come prima. Poi è arrivata la svolta.

Che cos’è successo?

Ho conosciuto don Antonio Moro, parroco a Cassano d’Adda, e una serie di altre persone con cui sono diventato molto amico. E così, quando è arrivata la crisi del 2009, l’ho vissuta in modo molto diverso. Uscire dalla crisi con questa compagnia non è stato dire «sono stato bravo, ce l’ho fatta», ma è stato avere intorno delle persone che me l’hanno fatta vivere in modo diverso. In modo cioè meno pesante dal punto di vista fisico e umano. Non ero più solo, e banalmente, lo si è visto da tutti gli amici che, uno dopo l’altro, sono venuti a cambiare le gomme nella mia officina. Ma anche per il fatto il lavoro, la famiglia e le amicizie non erano più momenti separati della mia vita, ma erano tutti accomunati dallo stesso desiderio di rispondere alla realtà.

So che lei ha iniziato a organizzare dei pranzi per imprenditori. Di che cosa si tratta?

Da due anni tutti i giovedì ci troviamo a pranzo alla Trattoria da Andrea. Siamo 30-40 amici, ci incontriamo con questa modalità semplice, che guarda soprattutto al diventare amici, a un interesse per l’altra persona. Fare l’imprenditore oggi non è facile e il problema grosso che vedo è la solitudine. Si è persa la capacità di stare insieme, e lo si vede dal fatto che quando inviti uno a pranzare insieme, quello si stupisce.

Ma perché questi momenti sono così importanti?

Perché aiutano a stare di fronte a quello che capita con la certezza che le cose non possono andare male, perché la realtà è positiva.

E quali iniziative sono nate da questo modo di stare insieme?

Ogni anno a Cassano, in occasione della Fiera del paese, organizziamo un «Microexpo». Allestiamo dieci stand, disposti ad ala attorno a un tendone, e chiediamo a dieci imprenditori di presentare la loro azienda, raccontando la loro esperienza lavorativa. Ed è una modalità ben diversa dal semplice rapporto di dare-avere tipico delle fiere di paese. Proprio per questo la gente che viene a vedere si stupisce.

Se non sbaglio, avete anche creato un gruppo che si chiama «Il giovedì di Andrea»…

Sì, siamo dieci imprenditori (diversi da quelli che partecipano al Microexpo) con cui ogni novembre andiamo al Matching, l’iniziativa organizzata dalla Compagnia delle opere nella Fiera di Rho per consentire alle aziende di conoscersi.
Ovviamente, in queste circostanze non vendo mai gomme, ma conosco tantissime persone stando insieme con la stessa modalità semplice con cui mi ritrovo a pranzo con i miei amici imprenditori della zona di Cassano.

(Pietro Vernizzi)

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