Caro Direttore,

mi riferisco all’articolo odierno a firma Mariolina Moioli.

Il tema toccato è interessante, perché sono posti in evidenza alcuni protagonisti del bisogno sociale: bambini, famiglie , anziani. Diremmo sinteticamente la famiglia. E il welfare sussidiario come sistema di intervento. E’ posto poi un esplicito riferimento a Giorgio Vittadini, quando egli “rimette la persona al centro come soggetto del welfare”.



Quello che vorrei compendiare e tentare di approfondire, a proposito dell’articolo, è la natura del Welfare Sussidiario. Come esso si traduce? Quale sistema delle regole suggerisce la sussidiarietà alla Pubblica Amministrazione? Come rendere effettiva la sussidiarietà privilegiando la realtà esistente, valorizzandola? Cosa dice Santa Madre Chiesa a proposito di sussidiarietà, avendone inventato il principio?



Il Comune – o lo Stato – spesso “interviene” per aiutare la famiglia e le fragilità. Anche l’Assessore lo ripete. Ma non è in questo che si specifica la sussidiarietà. Anzi. Porre al centro la persona significa non tanto –  e non solo! – aiutarla, ma soprattutto incentivare le realtà vicine al bisogno che operano da tempo per risolvere i quei problemi. Stabilmente e non con progetti comuni (Comune, Non Profit insieme).

Lo slogan potrebbe anche essere : L’Ente Pubblico: AIUTA CHI AIUTA. E’ la formula della sussidiarietà. Non si sostituisce o non si affianca unicamente in progetti, ma nella normalità …  Aiuta Chi Aiuta. In questo senso vorrei integrare, compendiare, l’intervento dell’Assessore.



Infatti più che i progetti fatti con qualche realtà presente in città, e che Moioli cita,  va posto come elemento di memoria e centrale, il tema dell’accreditamento che il Comune ha avviato, con merito.

Una grossa novità nel sistema della valorizzazione , della sussidiarietà.

Accreditare è il primo passo della sussidiarietà, infatti significa riconoscere e validare. E’ vedere una terza parte che è presente e attiva, positivamente, nel territorio al contatto con il bisogno. Essa già opera.  L’ente pubblico sostiene il suo operare, perché è lo stesso “territorio degli utenti” che lo suggerisce. E’ cioè un dato di realtà. Questo riconoscimento avviene non solo accertando i requisiti funzionali, ma innanzi tutto avvertendo e valutando che quella presenza sociale è riconosciuta meritoria di interesse, interlocutore privilegiato da parte della stessa utenza finale che vive con sollievo l’intervento di quella realtà nel contesto sociale di soccorso al bisogno che offre in presenza di fragilità conclamate.

Più società meno stato allora non è uno slogan per attaccare lo Stato, ma per valorizzare il fermento sociale che vive un territorio che “quasi da sé” ha iniziato ad operare per il bene comune.

In questo senso più che il “progettificio”, che abita in più casi, oggi, nella Pubblica Amministrazione, andrebbero valorizzate stabilmente le opere che si sono accreditate nel tempo e nel territorio.

Ad esempio nella erogazione del Voucher Socio – Sanitario, la Regione Lombardia si è posta, nel terreno dell’accreditamento, su un piede di parità con il Terzo Settore. Due soggetti diversi che liberamente hanno deciso di collaborare stabilmente. Un contratto scritto da due parti.

Tale parità ha voluto dire una sequenza interessante di eventi anche formalmente ben definiti:  due realtà che in modo paritario si mettevano sullo stesso piano,  ponevano sul campo  le rispettive risorse e verificavano come e quanto concorrere al bene.

Questa parità non è così scontata. Il mondo Non Profit la cerca. Lo Stato un po’ meno ed i virtuosi non sono molti.

Capita anche che l’Ente pubblico vigili sui bisogni e non faccia più distinzione tra dove non c’è realtà sussidiaria e dove invece è presente. O meglio valorizzi ciò che c’è, ma a patto che operi nella forma prevista dall’Ente Pubblico che ha dettato le regole. E’ lo Stato che decide cosa vale nella società. Lo stato sa più della società.

Tutta l’opera della Chiesa e il valore della Sussidiarietà – e lo scrivo a chi ne fa memoria quotidiana – è fondata a parer mio sul tema della libertà delle persone di associarsi, di intravvedere soluzioni, di porle in campo ed essere capaci di soluzione.

E’ corretto che la Pubblica Amministrazione, che usa fondi pubblici, controlli la qualità e la giusta funzionalità. Non che organizzi le realtà sociali sussidiarie e spesso, pretestuosamente, indichi infiniti e stringenti vincoli di partenza, in senso burocratico, cui attenersi, per essere validati.

E’ il tema della Sussidiarietà che va capito e riproposto, perché non venga equivocato con sostenibilità, con decentramento amministrativo, con le regole che “l’alto dà al basso” per farlo funzionare, in progetti comuni che risultano essere gli unici validanti, perché il Comune (o lo Stato) sono partner. Una sorta di iniziativa mista.

Terzo Settore, realtà territoriali e Pubblica Amministrazione si devono incontrare invece su un piede di parità, per verificare la comune opportunità di aiutare i soggetti più deboli.

La rete dei servizi pubblici sussidiari è una vicenda complessa.

Il” cruscotto di comando” è nelle mani dell’ente pubblico che lo usa per conoscere e guidare il sistema in modo coordinato, non per imporre la propria mentalità o strategia comportamentale. Il cruscotto aiuta, favorisce o suggerisce una libertà più imprenditoriale, corregge le malfunzionalità. Ma la società civile è la protagonista.

Più società meno stato è un modo di dire sussidiarietà.