Nella chiesa quattrocentesca di San Pietro in Gessate si trova un altare laterale dedicato al beato Contardo Ferrini. Collocazione felice, perché egli fu insigne giurista e perché, proprio di fronte a quella chiesa così lombarda nella sua semplice facciata di mattoni rossi, sorge la marmorea e massiccia mole del Tribunale. Le spoglie di Contardo Ferrini riposano invece nella cripta della cappella dell’Università Cattolica, per volere di padre Agostino Gemelli, quale seme di santità per lo sviluppo dell’università dei cattolici italiani.
Nasce a Milano nel 1859 in una famiglia di convinta fede cattolica. Studia al liceo Beccaria con risultati brillanti e si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza a Pavia. Convittore del Collegio Borromeo, cultore di greco e di lingue antiche, per la passione avviata in lui dal Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, collabora alla formazione del primo circolo studentesco cattolico italiano, più tardi frequentato anche dall’allora studente in medicina Riccardo Pampuri, ora santo. Si laurea nel 1880 in Storia del diritto penale, a pieni voti e con pubblicazione della tesi e vince una borsa di studio dell’istituto Ghislieri per proseguire i suoi studi in Germania.
A Berlino si specializza in diritto romano sotto la guida di illustri docenti, tra i quali Mommsen. Rimane molto colpito dall’attività, dalla fondazione di giornali a quella di circoli universitari, con cui i cattolici tedeschi cercano di resistere alla politica culturale di Bismarck, tesa a limitare la presenza cattolica nella società civile per consolidare la compattezza del Reich. Entra a far parte delle Conferenze di San Vincenzo, fondate dal francese Ozanam per l’assistenza dei poveri. Singolari le affinità tra i due: Ozanam è docente di letteratura e cultore di storia del diritto e, come Ferrini, si interessa all’influsso del pensiero cristiano sul diritto romano in età bizantina. Con un amico anch’egli impegnato nella carriera universitaria entra nel Terz’ordine francescano e i due pregano a vicenda per l’esito positivo delle loro aspirazioni accademiche.
Tornato in Italia ottiene nel 1883 la libera docenza e insegna a Pavia, poi dal 1885 a Messina; nel 1889 nel concorso per la cattedra all’Università di Bologna gli viene preferito un candidato inferiore per titoli, ma più gradito alla commissione giudicatrice per la sua apertura al divorzio. Nel 1890 ottiene comunque l’insegnamento a Modena, dove diviene Preside di Facoltà e instaura rapporti significativi con studenti e colleghi. Nel 1894 torna a Pavia, dove ricopre vari incarichi e dà vita a lezioni anche informali. Esse vengono seguite da Agostino Gemelli, per osservare un fenomeno interessante dal punto di vista psichiatrico: il caso di un intellettuale rigoroso e nello stesso tempo cattolico convinto.
La vicinanza di Pavia a Milano consente a Ferrini di abitare nel capoluogo e di impegnarsi in politica. In anni in cui il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa è variamente affrontato a partire dal non expedit, egli partecipa dapprima a varie forme di associazione non politica in cui i cattolici ricompattano la loro presenza, non disdegna altre realtà associative popolari anche di stampo socialista, poi dal 1895 al 1899 diviene consigliere comunale di Milano all’interno di una lista di cattolici e liberali moderati: difende con la propria competenza giuridica ottanta opere cattoliche in città, minacciate dal tentativo di esproprio operato dalla legge Crispi e contribuisce a far reintrodurre nelle scuole elementari milanesi l’insegnamento della religione, pur mantenendosi distante sia dai cattolici intransigenti sia dei liberali più radicali.
Fin dalla giovinezza ama la montagna e torna spesso a Suna, sul lago Maggiore nella villa di famiglia. Guida richiestissima per la conoscenza delle vie, partecipa volentieri alle escursioni con i giovani del posto, poiché ritiene la montagna una scuola di vita impareggiabile per concretezza ed efficacia.
L’incontro con la sproporzione tra noi e ciò che ci precede, nella natura e negli studi, gli suggerisce il realismo dell’umiltà: “L’umiltà sta nel non disperare, perché siamo in buone mani”. Il suo desiderio di morire in montagna in un certo senso viene appagato: di ritorno da una gita, beve acqua inquinata, contrae il tifo e muore. E’ il 1902. Nel 1881 aveva fatto privatamente voto di castità, “ilare della pace di Dio”, come scrive sulle orme di san Paolo: “Dio ama chi dona con gioia”.