Milano, dopo lustri di silenzio, è ridiventata un importante argomento di conversazione. Sul tema si scrivono libri, si organizzano convegni, si celebrano pubbliche manifestazioni, si dedicano festival e rassegne artistiche, si aprono musei.

Resta però molto scarso – se si esclude qualche iniziativa destinata a pochi – lo spazio dedicato all’immaginario urbano. Quando un nuovo grande progetto prende il via (pensiamo, come sempre, alla risistemazione delle ex-aree dismesse, ma anche a qualsiasi altro progetto, come l’installazione del teleriscaldamento o la costruzione di un nuovo parcheggio sotterraneo) si avverte una generica scontentezza, o indifferenza, che maschera la mancanza di una domanda. La domanda è questa: come immagino, come vorrei che fosse, che futuro sogno per la zona in cui vivo, e più in generale, per la mia città?



I grandi progetti si innalzano come torri solitarie su un paesaggio senza immaginario, come se solo chi ha i mezzi per intervenire materialmente sul territorio avesse il diritto alla fantasia. Io credo invece che immaginare il futuro delle nostre vie e dei nostri quartieri, abituarci a pensare come potrebbero essere resi più belli in tutti i sensi – dal punto di vista urbanistico a quello umano – possa offrire ai milanesi un formidabile strumento per essere protagonisti dei tanti cambiamenti che ci aspettano. Senza l’esercizio della fantasia finiremo per facilitare il compito ai potenti.



La complicata storia urbanistica della nostra città ci ha lasciato in eredità una certa quantità di problemi, senza la cui soluzione Milano non diventerà mai bella come merita. Alcuni di questi problemi sono piccoli ma fastidiosi, altri enormi. Mi permetto di portare ad esempio un problema che ritengo particolarmente grosso: Corso Sempione. Basta un’occhiata a Google Maps per rendersi conto di come il progetto napoleonico culminante in Corso Sempione fu, per così dire, appoggiato sopra un tessuto urbano preesistente e orientato in modo diverso.

Immaginato per fare il paio con Champs-Elysées (cui aggiungiamo il Passeig de Gracia di Barcellona, Unter den Linden di Berlino e altre simili arterie europee), Corso Sempione è diventato sempre di più un viale periferico della città, senza mai trasformarsi in qualcosa che somigli a un centro. Il suo fallimento urbanistico, dovuto a mio parere alla sua eccessiva lunghezza, è una delle cause per cui Milano è rimasta una città monocentrica, nonostante i molti tentativi di correggere questo difetto.



Corso Sempione è brutto, i suoi giardini sono mal tenuti, e dal punto di vista architettonico è tutto raffazzonato: come altre vie, certo, ma la differenza è che qui lo sparpagliamento, la mancanza di un’idea unitaria si rendono più visibili, creando un’idea di disordine estetico che in una strada di larghezza normale si avvertirebbe molto meno.

Ora, chi lo sa se e quando un problema come questo si potrà risolvere. Questo però non ci dovrebbe impedire di immaginare come potrebbe diventare. Mi piacerebbe che scrittori, architetti, urbanisti (tra i quali ci sono molte bravissime persone) dessero vita a un sito, a una rivista non troppo specializzata, insomma a un supporto – o a più supporti – per aiutare la città in questo che dovrebbe essere un lavoro normale.

Io vedo, per esempio, Corso Sempione come un grande spazio – senza troppe nuove costruzioni, ma solo con qualche intelligente ristrutturazione e una uniformità nei colori – dove mettere in atto un esperimento di convivenza multietnica “sostenuta”. Vedo il suo difetto – la lunghezza eccessiva, come detto – trasformarsi in un pregio: una specie di freccia capace di “bucare” le diverse fasce, o cerchi (come li chiama Aldo Bonomi) scarsamente comunicanti tra loro di cui è fatta la città; una comunità unica capace di abbracciare le zone centrali (Arco della Pace) e quelle periferiche (Piazza Firenze).

Immagino il sorgere, lungo tutto il perimetro del viale, di una quantità di piccoli ristoranti, negozi e locali capaci di attirare il popolo serale e notturno. Immagino l’enorme spazio centrale del viale, dopo un’adeguata riformulazione (o cancellazione) della corsia mezzana, adibito a parco con passeggiate, divertimenti e, magari, un cinema. Le comunità che vivono intorno al viale sarebbero le prime a presidiare il parco, impedendone il degrado. Vedo tra me, insomma, Corso Sempione al centro di una zona popolare di nuova concezione (niente a che vedere con Champs-Elysées), di un possibile modello per l’integrazione “dal basso” che già, a Milano – grazie soprattutto agli anziani e alle mamme – sta dando qualche frutto.

Sono sogni, naturalmente. Forse stupidi, anche. Eppure anch’essi nascono dall’ascolto del respiro di Milano, e dalla voglia di assecondare quel respiro, aiutandolo a prendere una forma. Mi piacerebbe però che questo ascolto fosse un lavoro, o se vogliamo un passatempo, comune. Vorrei conoscere quali sono i “buchi neri” che ciascuno individua nella città, leggere su una rivista o da qualsiasi altra parte le soluzioni pensate, le ipotesi avanzate non soltanto sui punti “caldi”, ma anche su quelli dove non si prevedono interventi a breve.

È la proposta che mi sento di fare ai lettori. Individuate i punti a vostro avviso problematici della città e fateci sapere come li immaginate per il futuro. È probabile che nessun problema venga risolto secondo il modello che abbiamo in mente, però in questo modo potremmo perlomeno abituarci a considerare la città e i suoi cambiamenti come qualcosa che ci riguarda, qualcosa da prendersi a cuore.