Cinquant’anni e non sentirli. Il Salone Internazionale del Mobile, nato nel 1961, ha aperto le porte a Milano: i 328 espositori di mezzo secolo fa sono diventati oggi più di 2.500, mentre i visitatori sono passati da 12mila a 300mila. Insieme al Salone del Mobile (200mila metri quadrati di spazio espositivo) hanno aperto i battenti anche il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, le biennali Euroluce, SaloneUfficio e il SaloneSatellite, l’unico che per tutti i giorni di esposizione resterà aperto al pubblico gratuitamente.



Durante gli ultimi cinquant’anni il mobile italiano ha attraversato fasi importanti, passando per il periodo del “boom economico” fino alla crisi economica che, soprattutto nel 2009, non ha risparmiato nessuna potenza mondiale. IlSussidiario.net ha intervistato Marco Fortis, vicepresidente della fondazione Edison e docente di economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano.



Professore, come si è evoluto il panorama dell’arredamento Made in Italy dagli anni Sessanta ad oggi?  

«C’è stato un grande cambiamento nel settore del mobile italiano. È un settore che, come tanti altri del Made in Italy, ha iniziato a decollare sui mercati internazionali verso la metà degli anni Sessanta, quando c’è stata l’interruzione della fase del “boom” economico. In quei primi vent’anni del dopoguerra ci fu una corsa della domanda interna, quindi molte industrie nacquero e molte altre si rafforzarono. Molti italiani in quei tempi cercarono di comprarsi la prima motoretta, la prima automobile, la casa. Quindi la gran parte dell’attività industriale italiana in quei vent’ anni era marcatamente vocata al mercato interno».



Cos’è successo dopo?

«Dopo questa corsa da cui non ci si riusciva a fermare, con tassi di sviluppo in crescita anche fino al 10-12% l’anno, la crescita si è fermata, anche perché ormai si era saturata a causa di un’ondata di consumi interni. Questo ha spinto gli imprenditori a ricercare nei mercati esteri dei sentieri per crescere ulteriormente. Se fino alla metà degli anni Sessanta il mercato interno era il punto di riferimento, da quel momento in poi sarà il mercato estero a prevalere per tanti settori del Made in Italy».

Il Salone come entra in questo contesto?

«Da quel momento in poi il Salone è diventato sempre più una vetrina del Made in Italy sul mondo. Dagli anni Sessanta ad oggi si sono susseguite diverse: una grande fase di sviluppo arriva fino al 2000, contrassegnata dal consolidamento dei grandi distretti industriali più tradizionali, come la Brianza per il mobile o il Pesarese per le cucine, a cui però si affiancano sempre più i distretti del Triveneto».

La seconda fase?

«Il grande boom degli anni Novanta, cioè la grande corsa al distretto del mobile imbottito di Altamura e Matera. La fase della grande crescita, in cui l’Italia ha consolidato la sua posizione di leader dell’ export mondiale di mobili, davanti anche alla Germania che è sempre stato un produttore molto attento».

Arriviamo dunque alla terza fase…

«Ha inizio dal 2000 in poi. Un periodo molto difficile, perché arriva sul mercato il colosso cinese che di colpo mette in seria difficoltà i distretti più fragili. Altamura e Matera vanno in grande difficoltà: il mercato dei divani è soprattutto quello americano e noi produciamo in euro per poi vendere in dollari. Competere non è facile, visto che i cinesi producono in yuan che è una moneta molto svalutata. Per non contare poi il basso costo della manodopera cinese. Matera e Altamura hanno avuto un grande ridimensionamento, come anche altre aziende. Il salone ha attraversato questi tre momenti e dopo quest’ultima fase ha iniziato a proporre le nuove grandi linee di design che avrebbero potuto consentire all’Italia di mantenere il primato dell’innovazione».

Quali sono i punti di forza del Salone del Mobile?

«Il Salone è una vetrina imprescindibile, non esiste niente di simile al mondo. I punti di forza principali risiedono nel fatto che il salone è una grande macchina organizzativa che negli ultimi anni è cresciuta grazie al merito del presidente di FederlegnoArredo Rosario Messina, scomparso lo scorso 9 marzo. Un altro punto di forza si può trovare proprio nel retroterra del settore, diversificato e capace di orientare le linee del design e dell’innovazione sempre in maniera brillante, fino a diventare un polo di riferimento per tutti i grandi compratori. Non è possibile restare aggiornati sulle tendenze e capire la qualità dei materiali senza avere come riferimento il salone di Milano, dove sono esposti tutti i grandi marchi del design come Poltrona Frau e Cascina».

Come sono andate le esportazioni italiane nel 2010?

«L’anno scorso l’export italiano ha in parte recuperato la caduta del 2009, con un incremento del 6,4% delle esportazioni. Alcuni mercati si sono invece confermati punti di riferimento, come la Francia, il nostro più grande mercato, con 1.3 miliardi di esportazioni crescendo dell’8%. La Germania, che è il secondo mercato, è cresciuto dell’8,9%, che vale circa 990 milioni di euro. Il Regno Unito ha sofferto molto il 2009, ha recuperato di meno, anche se è sempre il terzo mercato. Il mercato russo, nel 2010 ha avuto un piccolo arretramento. Nel 2009 hanno sofferto tantissimo i mercati americano e spagnolo, ma il mercato che ha sofferto di più è ovviamente quello greco che nel  2010 ha perso il 18%. Molto positivo lo sviluppo in Cina, in cui nel 2010 le esportazioni sono aumentate del 50%».

Ma che rapporto c’è tra tradizione e innovazione?

«L’innovazione è fortissima in tutti i comparti. Le stesse produzioni più semplici come i divani hanno dovuto reinventarsi a tutti i costi, cercare di introdurre nuovi design, nuovi automatismi, per consentire dei salti di qualità e di spiazzare la concorrenza asiatica dei prodotti più a basso costo. Anche tutto l’intero comparto del mobile da camera, come la camera da letto, il salotto, l’ufficio, stanno cercando attraverso forme innovative di riuscire a mettere in difficoltà i competitors».

La Cina perciò non è imbattibile?

«È vero che la Cina ci precede, ma in alcuni casi l’Italia è prima, come per esempio nell’esportazione mondiale di cappe aspiranti per cucine con grandi gruppi come Elica, con 500 milioni di dollari di esportazioni. Siamo secondi nei mobili di legno da salotto con 2.1 miliardi di dollari dopo la Cina, nei mobili imbottiti per sedersi, con 1.6 miliardi di dollari dell’export mondiale. Poi siamo ancora secondi nei mobili per cucina con 800 milioni di dollari e nelle sedie con intelaiatura di metallo con 350 milioni di dollari dell’export mondiale. Sempre secondi nei mobili di materie plastiche, con tradizioni formidabili con gruppi come Carter, uno dei grandi leader del design. E abbiamo tantissimi terzi posti importantissimi, come quelli dei mobili di legno per ufficio».

Come si comportano le piccole e medie imprese del settore del mobile di fronte ai grandi gruppi?

«Il settore del mobile non è il solo in cui è esistente il fenomeno della crescita delle piccole-medie aziende con marchi meno affermati che però stanno consolidandosi in diversi segmenti di mercato. È un fenomeno molto positivo perché capita di andare all’estero e vedere negozi che vendono prodotti italiani, e non solo i marchi più noti e tradizionali. Questo è positivo perché significa che la capacità di interloquire con la distribuzione internazionale anche da parte di piccole e medie imprese sta aumentando. È chiaro che i colossi di questo settore rimangono i grandi marchi che fanno anche da punto di riferimento mondiale del design, ma ci sono produttori che stanno facendo innovazioni formidabili: anche piccoli gruppi come Valcucine, che ha introdotto delle raffinate forme di investimento nelle aree forestali, e che quindi è in grado di certificare una provenienza del legname con un massimo rispetto dell’ambiente e della rotazione forestale».

Il mercato italiano deve temere la concorrenza dell’arredamento low-cost?

«Prendiamo l’esempio della svedese Ikea: quest’azienda è spesso acquirente fondamentale di prodotti italiani. Tra i vari fornitori italiani di Ikea, infatti, ci sono gruppi come Snaidero. Nel mondo low cost non esiste solo Ikea, che si trova solo nei grandi centri. Se si guarda nelle province si possono trovare tantissimi mercati e centri commerciali dove la distribuzione dei mobili è in gran parte italiana. Il mobile italiano non è solo di altissimo pregio e costoso, anzi ce ne sono alcuni che competono sul costo in maniera forte. Certo, Ikea attrae ed è un grande marchio, una specie di parco giochi del mobile in cui girare con la famiglia e in si possono consumare prodotti alimentari svedesi. Eppure, nonostante questo, i grandi centri commerciali che propongono marchi diversi, tra cui moltissimi italiani, di sabato e domenica sono sempre gremiti. Poi c’è anche la Cina che concorre tantissimo nel mobile low cost. Ma i numeri italiani sono ancora grandissimi, nonostante tutte le pressioni della concorrenza europea e non».

(Claudio Perlini)