«Ogni tanto si genera dell’inutile qualunquismo, si notano degli sguardi nei confronti degli immigrati che sembrano dire: “voi che volete?” e spesso ci si dimentica che gli immigrati in Italia sono intorno al 6-7% della popolazione e che producono circa l’11% del Pil». Mujyarugamba, intervistato da IlSussidiario.net, è presidente dell’Aipel, l’Associazione degli Imprenditori e Professionisti Extracomunitari in Lombardia. L’associazione, senza alcun fine di lucro, si propone di promuovere e sostenere nuove iniziative imprenditoriali svolte da extracomunitari, aiutando le nuove imprese a crescere, passo dopo passo.
Il 9 aprile, al World Join Center a Milano, l’Aipel ha ricevuto il Premio San Bernardo 2011 nel corso della Giornata della Sussidiarietà, appuntamento annuale dedicato ai temi della sussidiarietà promosso da Fondazione per la Sussidiarietà e Compagnia delle Opere di Milano. In questa edizione è stata appunto presentata la ricerca “L’immigrato: una risorsa a Milano” realizzata dalla Fondazione in collaborazione con CeSDES (Centro Studi Demografici Economici e Sociali), e il premio viene consegnato alle realtà e alle opere che, secondo il principio di sussidiarietà, hanno sviluppato azioni solidali, educative, economiche ed assistenziali: «Ricevere questo premio è stato molto importante. – afferma il presidente Mujyarugamba – Siamo molto contenti perché significa che stiamo facendo qualcosa di utile e importante. Dopo tanti anni di lavoro è importante vedere che qualcuno si accorge di quello che fai. Per noi è un onore ed anche un onere che ci spinge a fare sempre di più».
Di cosa si occupa principalmente l’associazione?
«Cerchiamo di dare una mano ad immigrati che si vogliono mettere in proprio. L’associazione è costituita da circa trecento soci, siamo nati nel 1999 però siamo diventati ufficiali nel 2003 e da allora cerchiamo di aiutare le nuove imprese a nascere e crescere, nella fase chiamata “start up”».
Che tipo di servizi offre l’Aipel?
«Dipende dalle esigenze, ma fondamentalmente ci vengono richiesti due tipi di servizi, anche se ne proponiamo molti altri: aiutiamo innanzitutto a definire bene il piano finanziario, attraverso varie convenzioni che abbiamo con alcune banche. Cerchiamo di far erogare prestiti per i primi investimenti, perché spesso l’obiettivo più difficile da raggiungere per queste persone è il poter accedere al credito. Si va in banca direttamente, si va a spiegare qual è il progetto e si cerca di trovare quel minimo investimento iniziale che può andare dai 10 ai 30.000 euro per poter partire, per poter decollare. Aiutiamo a mettere proprio nero su bianco il progetto di impresa».
Qual è invece il secondo servizio più richiesto?
«Si tratta di trovare delle commesse: noi aiutiamo un’impresa a nascere, però poi spesso queste non trovano da fare, il lavoro è poco e hanno problemi ad affrontare le spese. In questi ultimi due, tre anni è stato veramente difficile. Immagino che sia stato difficile un po’ per tutte le aziende, perché il lavoro è diminuito non solo per le imprese di immigrati ma per le imprese di tutti. Quando c’è una crisi di questo genere la difficoltà è grande, ma forse a noi colpisce più duramente. Sono esigenze che tutte le imprese del mondo hanno, però se si tratta di imprese di immigrati il problema si fa un po’ più pesante, un po’ più difficile da risolvere».
Come riuscite a finanziarvi?
«L’associazione è formata ormai da quasi trecento imprenditori. Poi c’è uno staff di otto persone che si occupa dei servizi più specifici. Qualcuno di questi è imprenditore, qualcuno è stagista, qualcuno è volontario, perché è un’associazione senza fini di lucro; queste otto persone portano avanti i servizi alle imprese. Siamo organizzati per spendere il meno possibile perché non abbiamo nessuno sponsor ufficiale. I nostri soci pagano generalmente una quota di circa 150 euro ogni anno però capita spesso che il pagamento avviene quando hanno bisogno di un qualche tipo di servizio. Non è detto che l’anno successivo rinnovino il pagamento della quota, basti pensare che siamo a fine aprile e su trecento hanno pagato i 150 euro appena 70-80 imprese e contiamo di arrivare a 180 quote per la fine dell’anno».
Come è nata l’idea di creare un’associazione come questa?
«L’idea nasce innanzitutto dalle mie esigenze professionali, che ora non sono solo mie ma anche di tante altre persone. Sono arrivato in Italia con la borsa di studio del Ministero degli Affari Esteri italiani, ho studiato ingegneria elettronica. Intorno al 1995-‘96 ho inviato tantissimi curriculum ma le offerte che ricevevo non riguardano la mia laurea e non mi sono voluto accontentare. Ho fatto l’esame di stato, ho cominciato a fare di testa mia, e io stesso mi sono imbattuto n problemi di vario tipo, per esempio cercando di mettere in piedi un ufficio, di arredarlo e fare uno “start up” per la mia impresa. Ho visto le difficoltà che c’erano, ho tentato di risolverle e intanto sono entrato in contatto con altri amici, notando sempre più quest’esigenza. Le associazioni che esistevano al tempo non facevano nulla per gli immigrati con lavoro autonomo e allora, con altri amici, ci è venuta in mente di creare quest’associazione, abbiamo iniziato a darci da fare e nel 2003 l’abbiamo formalizzata».
Che tipo di clientela avete?
«Abbiamo soci di diverse etnie: soci egiziani, senegalesi, marocchini, indiani, albanesi e rumeni. Di solito si tratta di imprese di pulizie, di edilizia, di costruzione, di informatica, affini alla persona, imprese di trasporto, di intermediazione, più o meno sono toccati tutti i settori. Ci sono anche molte cooperative per badanti, per i trasporti, per facchinaggio».
Cosa significa operare in una regione come la Lombardia?
«In Lombardia, se una persona che si mette in proprio si impegna e si rimbocca le maniche, prima o poi viene premiata. L’unico problema è che qualche volta tende ad essere egoista e a guardare l’immigrato con diffidenza. Però la Lombardia, per uno che vuole impegnarsi, lavorare e crescere non è un terreno ostile. Si può guadagnare la fiducia in sé stessi e dopo un duro lavoro si possono raccogliere i frutti».
Prospettive per il futuro?
«Per quanto riguarda il futuro stiamo cercando di creare una nuova realtà. Possiamo aiutare un’impresa a nascere ma poi bisogna riuscire a farla crescere e a consolidarla. Vogliamo puntare sul fatto di far collaborare le imprese per riuscire a farle decollare. L’individualismo limita molto la crescita di un’azienda e noi puntiamo a consolidare le imprese per farle essere più complete, collaborando tra di loro. La nostra è un’associazione di immigrati imprenditori ma siamo ancora un po’ fragili, non abbiamo delle risorse efficienti per estenderci alle altre regioni. Per ora è così, ma forse tra qualche anno riusciremo ad allargarci magari verso l’Emilia o il Veneto. Pensiamo che se facciamo seriamente bene il nostro lavoro in Lombardia, poi l’allargamento potrà avvenire quasi in modo naturale».
(Claudio Perlini)