«La politica, che con la seconda Repubblica si è ripiegata su se stessa e su un personalismo sempre più spinto, deve superare gli steccati e le ideologie tornando a scommettere sulla società civile». Ad affermarlo è Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani per le province di Milano e di Monza e Brianza. Un intervento che prende le mosse dal documento della Compagnia delle Opere, intitolato «Costruire luoghi di vita» e dedicato alle elezioni amministrative che, oltre a Milano, coinvolgeranno anche i Comuni di Arcore, Cassano d’Adda, Desio, Limbiate, Nerviano, Pioltello, Rho, San Giuliano Milanese e Vimercate. Il volantino pone un’alternativa tra «ricercare regole da imporre alla società» e «sostenere le ricchezze dell’identità del popolo».



Davvero la politica si trova a dover scegliere tra queste due posizioni?

L’Unione artigiani, come corpo intermedio della società e nel rispetto del principio di sussidiarietà, condivide ogni impostazione che presupponga la valorizzazione delle esperienze, delle competenze e dei valori che emergono dalla società civile. Sono finiti gli steccati, le ideologie e i fondamentalismi di un tempo. Al contrario, occorre scommettere sull’uomo con la sua competenza, le sue capacità e le sue conoscenze specifiche dei problemi. Noi condividiamo lo spirito del volantino della Cdo, che tende a sottolineare come il valore della società civile sia un patrimonio da esaltare.



Che cosa ne pensa dell’invito ad «andare oltre una politica autoreferenziale che non intercetta i bisogni e le speranze delle persone»?

Non possiamo che interpretarlo positivamente, tenuto conto che dopo la caduta del muro di Berlino e con la seconda Repubblica, la politica paradossalmente invece di aprirsi sempre di più alla società, è diventata sempre più autoreferenziale. E questo anche per i nuovi sistemi elettorali molto basati sulla persona del leader. Sono diminuiti i contatti con la società civile, e quindi questo va corretto perché nessun leader politico può avere la competenza per affrontare tutti i problemi, senza avere un contatto con chi questi problemi li vive quotidianamente. Quindi l’autoreferenzialità è assolutamente deleteria e va modificato questo approccio politico, specie nel campo amministrativo locale.



Sempre nel volantino, si dice che «Milano ha nella sua vocazione il fatto di essere luogo di apertura a chi viene per lavorare e vivere»…

Milano è sempre stato un luogo di mezzo, tanto che i latini la chiamavano Mediolanum. Cioè una terra d’incontro, di confronto, senza una sua identità razziale o culturale chiusa e definita. La ricchezza di Milano è la sua multiculturalità: abbiamo visto il passaggio di francesi, spagnoli, lanzichenecchi, tedeschi, austriaci. Quindi ciascuno di loro ha lasciato un’eredità, e Milano esalta questo patrimonio. Si è sempre dimostrata una città aperta, tanto che ormai il 20% circa della popolazione è di origine straniera, e in grandissima parte si tratta di persone integrata nella città e con un lavoro. Certo sono fenomeni che hanno anche dei risvolti negativi, quando assumono connotati di massa, ma nella maggior parte dei casi finiscono per arricchire la città.

E che cosa si può fare per valorizzare anche questa positività?

I servizi e la struttura organizzativa della società devono essere aperti verso il mondo e verso questi fenomeni, come l’inserimento di popolazione proveniente dall’estero, che almeno per qualche decennio riteniamo sia ineluttabile. Almeno fino a quando i Paesi di provenienza raggiungeranno un tenore di vita che non li spinga più a emigrare. Però l’immigrazione è una ricchezza, se governata con intelligenza.

Come valuta l’operato della giunta Moratti in questi cinque anni?

Si può sempre fare di più, ma noi riteniamo che la politica adottata dall’amministrazione comunale uscente sia stata indirizzata nella direzione giusta. Da un lato si è cercato il rispetto della legalità, perché l’integrazione si basa sul presupposto che chi si vuole integrare deve rispettare costumi e leggi della società che li ospita, ma dall’altra la società deve aprirsi ed essere attiva e collaborativa. Da parte della giunta Moratti è stata portata avanti questa duplice attività: intensificando da un lato le azioni di repressione o comunque di contenimento degli aspetti negativi dell’immigrazione, con la lotta a fenomeni degenerativi come l’illegalità; ma nello stesso tempo attivando politiche positive di integrazione.

Che cosa si può fare per contrastare il lavoro nero degli immigrati?

In primo luogo occorre combatterlo con la repressione, con maggiori controlli sul territorio, una maggiore presenza di forze dell’ordine, forze ispettive nelle imprese. Ma questi interventi vanno accompagnati dalla revoca delle autorizzazioni a chi non rispetta le regole della leale concorrenza e opera palesemente al di fuori dei principi del mercato. E siccome spesso sono fenomeni sotto gli occhi di tutti, non è difficile intervenire per contrastarli in maniera decisa. Un maggiore rigore infatti favorisce l’integrazione degli immigrati che intendono agire all’interno della società anche economica all’insegna del rispetto delle regole.

 

(Pietro Vernizzi)