Caro direttore,
           il “caso Lassini” appare come uno sfogo umano, con tutta la comprensione per l’ex sindaco di Turbigo messo in galera ingiustamente per cinquanta giorni. Sul piano personale, Lassini potrebbe avere ogni ragione del mondo e anche la nostra solidarietà, sul piano politico la sua azione è stata un errore. Il potere straripante della magistratura, che è un ordine e non un potere, non si combatte con sfoghi umanissimi, ma con azioni politiche incalzanti, con la giusta freddezza della denuncia delle sue incredibili contraddizioni storiche e con la sua ingerenza di abusi e di totale “devozione alla legge”, sino a una forma di “schiavitù” inumana.



È questa azione politica, fatta di ragionevolezza, che è mancata in Italia sin dall’inizio degli anni Novanta e forse anche da qualche tempo prima.
Tangentopoli non fu solo la rivincita, o la parziale salvezza, del vecchio Partito comunista italiano, ma  fu principalmente l’irruzione scomposta e concitata dell’antipolitica istituzionalizzata, a cui parteciparono forze di destra, forze di sinistra, pezzi di industria privata (altro che decapitata!) che partecipò con alcuni suoi protagonisti al saccheggio di una grande impresa pubblica come quella italiana. A questo si aggiunse l’azione di qualche lobby straniera, senza particolari complotti, ma solo sfruttando l'”ubriacatura” del cosiddetto rinnovamento italiano verso cui correva, irresponsabilmente, la stragrande maggioranza del popolo italiano, supporters del futuro, berlusconismo in testa, ahimè.



E la magistratura, come al solito in Italia, si adeguò all’andazzo. Certo fu responsabilità della prima Repubblica non risolvere il nodo di una magistratura spagnoleggiante e inadeguata al mondo moderno. Ma fu colpa della cosiddetta Seconda Repubblica avere accarezzato il “pelo” di alcuni pubblici ministeri “d’assalto” e poi essersi accorti della loro tetragona mentalità rispetto a una società democratica e liberale.
È possibile che nessuno si sia mai reso conto che la storia della società democratica occidentale si basa, come fondamento, sulla divisione tra accusa e giudice in ogni tribunale? Soprattutto, e a maggiore ragione, quando i codici stabiliscono l’obbligatorietà dell’azione penale come in Italia? È possibile che nessuno si sia mai reso conto che la magistratura italiana si sia  trasformata da tempo in una sorta di autentica casta autoreferenziale, dove meriti, carriere e punizioni venivano stabiliti dalla casta stessa?



L’orribile grottesco che si è assistito in questi anni, da Tangentopoli sino Calciopoli, passando dall’uso delle intercettazioni telefoniche e all’uso scriteriato degli avvisi di garanzia ( he sono diventati strumenti di accusa) è una storia di farsa tragica che avrebbe meritato una seria battaglia in punta di politica e di fondamenti istituzionali.

Nell’agonia di questa impalcatura, si cerca in modo schematico di fare di tutta un’erba un fascio. Ci sono magistrati che hanno pagato duramente la loro lotta contro il terrorismo, il brigatismo e la mafia e le sue organizzazioni affini. Si può anche affermare che il vecchio Pci abbia condizionato, se non parzialmente, una parte della magistratura, anche quella della Procura di Milano.
Non si può dire che la procura sia un covo di brigatisti, non perché sia politicamente scorretto, ma perché non è vero. Si può invece affermare che la magistratura nel suo complesso e la procura di Milano siano realtà antistoriche e arretrate, un perno dell’irragionevolezza italiana rispetto alle necessità una società democratica e moderna.

E che non riescano neppure a garantire la difesa di diritti legittimi e a sanzionare pene giuste. Non è una prerogativa di magistrati di sinistra, ma anche di destra o di centro. Tale inadeguatezza non riguarda solo l’ambito penale, ma anche quello civile, per non parlare di quello finanziario, dove gli specialisti sembrano involontari comici che si misurano con mercati del capitalismo dell’epoca mercantile, non di quello globalizzato e neppure del quarto capitalismo italiano. La casta va avanti per conto suo, senza neppure informarsi dei cambiamenti storici epocali.

C’è ancora una considerazione da fare. A ben vedere la magistratura segue la cultura anacronistica di questi tempi. Più che figlia del vecchio Pci (che era tutto, tranne poche alcune poche eccezioni, sostanzialmente sovietico) è figlia di quel pandemonio culturale che fu il ’68 italiano. Sono passati dal “revival maoista” al “revival giustizialista”, così come alcuni sono passati, in campo economico da Mao a Malagodi. Una confusione a cui pare si siano abituati tutti (perché al Sessantotto si sono adeguati quasi tutti), dove si è completamente dimenticata la dimensione politica, che, purtroppo, è ancora indispensabile nelle società in cui viviamo.

In definitiva, per farla breve, proviamo a rimettere la storia al suo posto, con date, fatti e interpretazioni il più possibili corrette. Proviamo a coniugare i principi, la famosa grundnorm, di una società democratica con i tempi che viviamo e che prevedibilmente vivremo rispettando innanzitutto le persone. Proviamo a ragionare politicamente con idee e non con ideologie. È probabile che alla fine, senza neppure che ce ne accorgiamo, le  mele troppo mature cadano dagli alberi da sole. Senza ricorrere a insulti che esasperano solamente un popolo e una società già troppo esasperate.