«Milano ha tutto, l’unica cosa che le manca è la partecipazione. I partiti, sia di destra sia di sinistra, sono scomparsi dal territorio e la deriva populistico-mediatica ne è la conseguenza». È quanto osserva Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano e condirettore de L’Opinione, intervistato sul volantino della Compagnia delle Opere, «Costruire luoghi di vita», realizzato in vista delle elezioni amministrative. Nel volantino si osserva che «Milano è ricca di realtà e di esperienze che, in tutti i settori, partendo dalla centralità assegnata alla persona, costruiscono opere culturali, rendono vivo il territorio dei quartieri, creano lavoro. Bisogna partire da queste realtà per valorizzare Milano».



Milano ha ancora questa ricchezza di esperienze di cui parla il volantino?

Sì, il problema è che queste realtà vanno stimolate e fatte emergere. Ciò che occorre è la forza di far venire fuori i punti di eccellenza, di incontro, di raccordo, di progettualità di quella che è ancora la città più città d’Italia. Milano è un po’ come la bella addormentata, e va svegliata, perché ha al suo interno delle energie importantissime. Basti pensare che ha sette università. Quale altra città d’Europa ne ha così tante? Chi amministra Milano dovrebbe per esempio preoccuparsi di metterle in rete. Ma il capoluogo lombardo è ricco anche di realtà sociali promosse dalla Chiesa, istituzioni culturali, musei. Tutte realtà che hanno bisogno di un collegamento, una interconnessione, e di qualcuno che le solleciti.



E la politica a Milano fa abbastanza perché ciò avvenga?

I politici, sia di destra sia di sinistra, se ne disinteressano completamente. Tutto ciò cui aspirano è il consenso immediato, e cercano di ottenerlo in modo rudimentale, gridando, senza fare riflettere né ragionare. Questo è il limite della politica di oggi: è una politica gridata.

E di chi è la colpa?

In parte quello che manca è un meccanismo elettorale adeguato, perché nelle elezioni politiche i cittadini non possono più scegliere i loro rappresentanti, in quanto i candidati sono eletti solo in base alla loro posizione nella lista. Non c’è più il rapporto diretto tra eletto ed elettore e questo è un vulnus per la democrazia. E anche a livello comunale gli assessori non sono chiamati a rispondere a nessuno, tranne al sindaco che li nomina. Solo il sindaco, rispondendo agli elettori, ha un giudice vero rispetto al suo operato.



Ma più in generale, da cosa dipende questo rapporto debole tra amministratori e cittadini?

Dipende dal fatto che non ci sono più i partiti. La loro distruzione ha di fatto interrotto una sorta di comunicazione reciproca tra politica e cittadini. Venti anni fa ogni sabato e domenica a Milano si vedevano dalle 20mila alle 40mila persone che si riunivano in circoli, partiti, consigli di zona: c’era una rete fittissima di partecipazione e di discussione. Poi naturalmente si parlava anche di posti, ma questa era l’ultima questione, ciò da cui si partiva erano i problemi della nostra città. Oggi la partecipazione è stata drasticamente ridotta, e questo è un male, perché come cantava Gaber «la libertà è partecipazione». E’ stato compiuto un crimine politico, è stato cioè tolto lo strumento principe della democrazia, che sono i partiti, e bisogna incominciare a reinventarsi qualche altra cosa per sopperire a questa mancanza.

Perché non c’è più partecipazione?

Perché il sistema politico che abbiamo oggi oscilla tra la democrazia populista, quella mediatica, lo scontro frontale e la delegittimazione dell’avversario: tutte cose molto negative. Venti anni fa, nella sola città di Milano, il Psi aveva 100 sezioni, la Dc quasi 200, i circoli culturali erano un centinaio: erano 400 punti di riferimento in una rete imponente che non oggi c’è più. Dal 1992 in poi, con l’avvento di Tangentopoli e di Mani pulite, i partiti sono stati ritenuti la sentina di ogni vizio, la Prima repubblica è stata definita «criminale», composta da mafiosi e corrotti, e in quel preciso momento è stata fatta fuori la politica. Siccome infatti la politica è fatta dai partiti, da allora è priva dei suoi elementi essenziali. In compenso oggi abbiamo le primarie, che personalmente mi fanno un po’ ridere…

Ma in che senso non esistono più i partiti? A Milano ne abbiamo diversi…

Si guardi un po’ in giro, dove li vede i partiti? Se uno chiede alla gente: «Dov’è la sede del vostro partito?», non lo sanno più. Ma la natura dei partiti è proprio quella di essere delle presenze territoriali. Proprio come la Lega nord, che è l’unico partito rimasto oggi: ha le sue sezioni sul territorio e da lì controlla i problemi e fornisce risposte. E’ per questo che Bossi ha così successo. E a Milano è probabile che alle prossime elezioni ne avrà ancora parecchio.

Da Tangentopoli sono passati 20 anni. Perché non sono bastati per riformare dei partiti come li intende lei?

Perché si è imposta una sorta di democrazia fondata non più sui partiti, ma sui mass media, cioè su un consenso diretto. Il risultato è stato che tutto nella politica è basato sul leader, e questa tendenza ha contagiato destra e sinistra, anche se oggi è incarnata dal fenomeno Berlusconi. Noi viviamo in questo sistema, che si è modellato intorno a lui e che durerà finché ci sarà il Cavaliere.

Un’ultima domanda sui consigli di zona. Secondo alcuni non servono più a nulla, lei che cosa ne pensa?

I consigli di zona a Milano non contano più niente, perché sono stati tolti loro i poteri e ne è stato ridotto il numero: erano 20, oggi sono nove, invece bisognava farli diventare 40. Ma più in generale, sono inutili proprio perché è entrata in crisi la partecipazione. Un tempo i consigli di zona erano molto pugnaci e attivi, oggi non lo sono più. E il motivo è che la loro natura non è più quella di essere un fatto politico, bensì meramente burocratico.

(Pietro Vernizzi)