Liberare le risorse degli immigrati nel nostro Paese abbattendo i ghetti, scommettendo sui giovani stranieri e aiutando ciascuno di loro a trovare un lavoro. E’ la ricetta di Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, che domani guiderà i lavori della Giornata della Sussidiarietà con l’assegnazione del Premio San Bernardo 2011 e la presentazione della ricerca “L’immigrato: una risorsa a Milano”, realizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Ilsussidiario.net ha intervistato il magistrato, con l’obiettivo di proporre le sue riflessioni da un osservatorio privilegiato quale il palazzo di Giustizia alla vigilia della giornata di lavori.



Dottoressa Pomodoro, in che misura e per quali motivi l’immigrato è una persona che delinque?

Quella fra criminalità e immigrazione è un’identificazione che non ha senso. Dai dati del tribunale di Milano emerge infatti che c’è un 50% di immigrati che delinquono e un 50% di italiani che delinquono. La proporzione dei reati tra italiani e stranieri inoltre è stabile. Gli immigrati vanno quindi considerati innanzitutto come una risorsa.



Per quale motivo?

Innanzitutto perché la maggioranza di loro sono giovani, in grado di infondere nuove energie a una società invecchiata, nella quale ci sono mestieri che ormai gli italiani non fanno più, e con una serie di problemi che si possono risolvere solo con una composizione adeguata.

Eppure le cronache ci hanno mostrato casi come quelli di Hina e di Sanaa, due ragazze immigrate uccise dai familiari per una relazione con un italiano…

Si tratta di episodi tragici, ma che possono accadere quando c’è una nuova immigrazione caratterizzata da una forte diversità in un Paese fortemente conservatore come l’Italia. Casi come quelli di Hina e di Sanaa documentano lo scontrarsi tra due mondi differenti. Ma accanto ai fatti eclatanti raccontati nelle pagine di cronaca nera, ci sono anche le vicende quotidiane dei giovani che vengono da altri Paesi cercando di adeguarsi alle nostre realtà: persone che sono molto più permeabili di quanto noi non immaginiamo.



In che modo istituzioni e imprese possono intervenire per fare sì che gli immigrati siano un elemento costruttivo della società milanese?

Evidentemente la prima di tutte è il lavoro. E’ chiaro infatti che l’immigrato che trova un lavoro e che è ben inserito nella società non ha bisogno di andare a rubare per mantenersi. La maggior parte dei reati, alcuni dei quali possono essere anche gravi, sono reati di sopravvivenza. Proprio per questo la prima emergenza è quella di trovare opportunità di lavoro sempre maggiori sia per gli immigrati sia per gli italiani.

Che cosa può fare invece il mondo del non profit?

Sono certa che le associazioni sanno benissimo quali siano gli interventi da privilegiare. Per quanto riguarda tutti coloro che, come i magistrati, operano invece sul versante delle «patologie» legate all’immigrazione, ciò che ci spinge a operare attivamente è soprattutto la speranza o l’illusione che la soluzione migliore siano una buona accoglienza e la capacità di fare comprendere a tutti le loro responsabilità. In modo da indurli a comportamenti virtuosi, consentendo nel tempo il loro reinserimento nella società e verificando un constante calo delle recidive di reato.

Che cosa ne pensa del fatto che gli stranieri a Milano tendono sempre di più a creare delle loro associazioni?

Si tratta di una forma con la quale, quando diventano titolari di diritti di cittadinanza all’interno della città, possono contribuire al bene comune con la loro creatività, la loro capacità di stare in relazione con gli altri e la preziosità di quelle diversità che noi possiamo fare diventare nostre.

Voi operate in sinergia con le associazioni di volontariato, italiane e straniere?

Noi lavoriamo in sinergia con le istituzioni. Il Tribunale di Milano non collabora direttamente con le associazioni di volontariato, che però ci possono dare una grande mano nell’attività all’esterno del tribunale. Per esempio, ci rivolgiamo al non profit per i lavori di pubblica utilità, e per tutte quelle attività che possono essere di supporto nei confronti di chi delinque per la prima volta e quindi si trovano in una situazione criminale. Inoltre le associazioni giocano un ruolo molto attivo anche all’interno delle carceri milanesi.

Perché ha prima ha affermato che la società italiana è conservatrice?

In quanto spesso non sa apprezzare anche quelle diversità che possono essere significative anche all’interno dei nostri costumi e del nostro modo di vivere. Ci sono costumi in altri Paesi altrettanto seri e corretti, per esempio quelli che riguardano le relazioni tra le persone. Gli stili di vita degli immigrati devono quindi essere messi a confronto in modo franco e chiaro con il nostro mondo di valori, e qualche cosa in comune lo si troverà sicuramente.

A che cosa si riferisce?

Mi riferisco per esempio ai comportamenti dei giovani nei confronti degli altri giovani. Spesso le chiusure non vengono infatti dai ragazzi, ma dai loro genitori. Gli adulti immigrati spesso si preoccupano molto di chiudere i loro figli nel ghetto delle loro antiche tradizioni, ma questo può non andare bene quando vengono a contatto con una realtà differente come quella italiana, che pure ha alla sua base valori cristiani, di sussidiarietà e di solidarietà assai forti e significativi, che la predispongono quindi all’incontro con l’altro.

 

(Pietro Vernizzi)