Sapete cosa ho capito, io milanese, dopo che da tredici anni vivo a Roma? Che la mia, oggi, è una città “piccola”.
Quando rientravo da ragazzo dalle vacanze in Liguria, a Celle Ligure, percorrendo col treno il ponte che attraversa via Valassina e divide il quartiere dalla lunga stradona che porta all’Ospedale di Niguarda, mi sembrava di rientrare in una metropoli. Oggi, quando torno a Milano, non ho più questa sensazione. E mi chiedo: è un dato oggettivo o un’mpressione, un sentire a livello psicologico che questa nostra Milano è diventata piccola?
Certo, ci sono i nuovi scintillanti grattacieli che stanno cambiando il volto della città a Porta Nuova. C’è il meraviglioso grattacielo della Regione Lombardia (ma avete notato come risalta ancor più la straordinaria bellezza del vecchio Pirellone?), ci sono tanti cantieri per le nuove linee della Metropolitana, ci sono ancora i vecchi e nuovi tram, orgoglio di un sistema di trasporti all’avanguardia in Italia (sul punto Roma perde cinque a zero, ad esser generosi). Ma c’è qualcosa che rende questa metropoli poco tale, che me la fa percepire come , appunto, una “piccola” città.
C’è ricchezza, non siano ipocriti i milanesi, qui più che altrove. Un benessere diffuso, comunque frutto di lavoro e senz’altro sacrificio. C’è una solidarietà molto più presente e diffusa di quanto, colpevolmente, noi giornalisti sappiamo, o vogliamo, raccontare.
E allora? Cos’è questa sensazione pervicace di straniamento mentre passeggio per le mie strade?
C’è molto rumore (lasciamo perdere lo smog, quello c’è ovunque), ma è cacofonia, non sinfonia. Ecco, Milano un tempo era sinfonica, ora solo cacofonica.
Quanto ci manca ora un Dino Buzzati cui accennare questi pensieri e vederli trasformare in soggetti, predicati, verbi, in letteratura!
Manca il circolo Sassetti, dove comunisti, socialisti e cattolici giocavano a bocce, tra un calice di rosso, un bianchino e una bestemmia a mezza voce si discuteva di Inter, Milan e politica. Manca don Eugenio, di lui oggi si ricorda solo il nome del cavalcavia di via Farini, mentre era un Giusto tra i Giusti, con il suo cippo a Gerusalemme benedetto anni fa dal nostro Cardinale Martini. Mancano le sedie delle nostre nonne sui marciapiedi delle case di ringhiera, le loro chiacchiere, le loro litanie in chiesa, il rosario a memoria in un latino che era anche quello pura sinfonia. Manca, a Milano, ma non solo certo, l’umanità. C’è la tv, la tecnologia, Internet, Facebook, Youtube, il suv e quanto altro rende la nostra vita più comoda, facile, attiva.
Ma non ci sono più i silenzi della nebbia interrotti dai petardi sulle traversine del treno, lo scampanellio stanco del “manetta” che manovra le leve del tram, le sirene dell’inizio del lavoro nelle fabbriche, l’odore forte della limatura di ferro che impregnava le tute degli operai, i neri giacconi di pelle che proteggevano dall’umidità invernale.
Nostalgie? Può essere. Si entra talvolta in fasi della propria vita in cui si avverte questo sordo dolore di fronte ai ricordi di un passato. Eppure, se oggi dovessi chiedere ad un candidato sindaco cosa voglio da lui per la mia Milano, ecco, gli direi proprio questo: sia il direttore d’orchestra di una ritrovata sinfonia, il portatore di umanità, il testimone di una corretta amministrazione di una città che è stata, e spero possa essere di nuovo, non solo la capitale economica d’Italia, ma anche e soprattutto la capitale “morale” di un grande Paese.