C’è uno strano tourbillon di analisi, sul terremoto politico-amministrativo di Milano. Il risultato del voto milanese ha preso tutti in contropiede: dagli opinionisti, ai sondaggisti, ai semplici osservatori di cose politiche (quorum ego). Più di sei punti di distacco tra il candidato di centrosinistra, Giuliano Pisapia, e il sindaco uscente e candidato di centrodestra, Letizia Moratti (oltre quarantamila voti di differenza) sembrano un fossato incolmabile anche nel testa a testa del ballottaggio. Ma non anticipiamo i tempi e soffermiamoci piuttosto sulle analisi sofferte e anche estemporanee.



Tra queste ultime, per liquidarle subito, occorre mettere quella di Marco Rizzo: “Certo,  Milano di nuova rossa”, quasi una sorta di Stalingrado, città che  non esiste  più da molto tempo, da quelli krusceviani, neppure  nell’ex Unione Sovietica. Chissà quale storia di Milano ha mai letto Rizzo. E quando mai è stata “rossa”  Milano?



Dal Dopoguerra, sino alla rottura di Tangentopoli, Milano ha sempre avuto sindaci rigorosamente riformisti, dal cattolico socialista Mario  Greppi fino a Giampiero Borghini. Il sindaco più a sinistra, forse a parole e per una certa dote di opportunismo verso il giovanilismo sessantottardo, è stato Aldo Aniasi. Ma persino quando Milano aveva un giunta di sinistra, nel  Pci governavano i “miglioristi” in polemica con la linea nazionale di  Berlinguer e il sindaco restava rigorosamente un autonomista craxiano. Poi sono arrivati 18 anni ininterrotti di destra. Questa è stata da sempre la vocazione e l’identità di Milano.



Ma liquidata questa boutade banale e pedestre, restano altre analisi più sbalorditive, fantasiose e lontane da qualsiasi logica politica. Ci si chiede come mai un sindaco uscente come Letizia Moratti (con il nome che porta) possa soccombere così duramente di fronte all’avvocato Giuliano Pisapia. In una città dove il terziario avanzato è ormai predominante nell’economia cittadina, dove il quarto capitalismo ha la sua culla e dove c’è un baricentro di affari finanziari internazionali.

Ci si chiedeva (e ce lo si chiede ancora) come una persona come Pisapia, con molti lati di buon senso ma pur sempre appartenente all’alveo “vendoliano”, possa governare una simile realtà. Evidentemente qualche cosa di importante si è mosso, provocato da contraddizioni interne alla maggioranza di centrodestra. Ed è alla ricerca di  queste cause che si è scatenata la vocazione di una certa Italia un po’ cialtronesca che va sempre a caccia di complotti, retropensieri, scenari misteriosi e tradimenti. 

Chi li alimenta, giornalista, politico o intellettuale che sia, è spesso lo stesso che ha alimentato e suggerito una delle cause della sconfitta della Moratti, il nuovo vezzo nel campo del centrodestra, la politica urlata. Al posto di governare e di pensare a governare, si è pensato pagasse il “litigio da lavandaia”, fatto di insulti, campagne  stampa, contrasti forzati, contrapposizioni fatte tanto per il gusto di fare. Anche se i problemi creati dalla sinistra in questo Paese sono evidenti, alla fine la strategia aggressiva dei nuovi urlatori di destra ha infastidito i milanesi fino all’irritazione e al disimpegno.  

Malgrado l’antropologia milanese sia mutata, la base resta sempre legata alla cultura del fare, al cambiamento ragionevole, all’impegno al lavoro senza  polemiche esasperate. Fissati i punti della questione, Milano vuole sempre risolvere i problemi, non continuare a dibatterli e tanto meno a sentirli  gridare con toni estremistici. Forse questa nuova destra estremista, che urla ed è sempre presente ai talk show televisivo di sinistra, potrà avere un “presenzialismo” importante, potrà assurgere al ruolo di piccolo leader. 

Ma alla fine otterrà magari una vittoria effimera e parolaia in un talk show con Marco Travaglio, ma perderà il ruolo politico che Milano si attendeva. Gli urlatori di certi quotidiani e certe urlatrici di centrodestra loro amiche, dalla cultura molto approssimativa e dalla finezza molto inferiore a quella di una lavandaia della vecchia Milano stanno facendo di tutto per allontanare Milano dalla Moratti e farla perdere. Che non siano in realtà emanazione di qualche centro sociale?