«Fortunatamente in questo settore la crisi non si è fatta sentire più di tanto. Sembrerà strano, ma il nostro lavoro risente più che altro delle condizioni meteorologiche. Crisi o non crisi, se una persona non vuole bagnarsi sotto la pioggia ha bisogno di un ombrello». Luca Pasi, amministratore unico di Ombrelli Piemme, inizia così il suo racconto a IlSussidiario.net. Trent’anni fa il papà Umberto fondò l’azienda: «Negli Anni Cinquanta eravamo una realtà molto piccola, poi negli anni Sessanta e Settanta l’azienda è cresciuta e nel decennio successivo ci siamo consolidati. È cominciata come una piccola impresa artigianale che produceva articoli di pelletteria per poi decidere di occuparsi di ombrelli. Adesso siamo una vera e propria azienda e produciamo anche linee di valigeria. La caratteristica rilevante è che ora la nostra è un’azienda di commercializzazione, mentre prima si occupava unicamente di produzione».



Può spiegarsi meglio?

Prima l’azienda svolgeva l’attività di produzione proprio qui, all’interno dell’azienda, mentre successivamente è avvenuta una delocalizzazione in estremo Oriente. Oggi tutta la produzione non avviene in Italia, ma in Cina. Lavoriamo sulle collezioni, la realizzazione dei prototipi, dei disegni e degli stili,  poi ci affidiamo a produttori esteri che realizzano il prodotto finale in base ai nostri input, ma nonostante questo privilegiamo sempre e comunque l’aspetto qualitativo. Ci rivolgiamo a produttori che garantiscono standard qualitativi molto elevati e abbiamo dei nostri sistemi di controllo della qualità che avvengono dopo la produzione e prima della spedizione. Operiamo quasi interamente a livello nazionale e in minima parte anche in altri paesi europei, attraverso negozi tradizionali al dettaglio e gruppi di grandi distribuzioni.



Com’è il mercato in questo settore?

È estremamente difficile per due motivi: innanzitutto non tutti i produttori pensano alla qualità, come noi invece stiamo continuando a fare. Per cui in Italia siamo abituati a ombrelli di pessima qualità a un costo bassissimo, come quelli che vengono venduti all’uscita della metropolitana.
L’altro problema è che i negozi di pelletteria e valigeria stanno facendo molta fatica per sopravvivere e tendono a scomparire, quindi è un mercato che si trova in grandissima difficoltà.

Come avete affrontato queste criticità?



Continuando a puntare sull’aspetto qualitativo, su prodotti sicuri, rispettando tutte le normative CEE attraverso l’utilizzo di materiali non tossici e che rispondono a specifiche caratteristiche.
Abbiamo la convinzione che proseguendo con una strategia che punti sulla qualità del prodotto a lungo termine potremo diventare un punto di riferimento sul mercato per quei clienti che ancora desiderano un prodotto con precise caratteristiche qualitative.

Prima mi diceva che non avete avvertito molto la crisi economica…

La crisi ha avuto comunque un impatto pesante: prima studiavamo e lavoravamo su precisi programmi da presentare ai nostri clienti in vista della stagione. Ora questi programmi non si fanno più. Gli acquisti avvengono solo all’ultimo momento, in casi di vero bisogno.
Effettivamente abbiamo avuto un paio di anni molto difficili, anche se ora sembra che vada meglio. Parlare di ripresa mi sembra comunque molto prematuro.

Quali sono i vantaggi e i limiti di fare impresa a Milano?

Ormai c’è una globalizzazione tale che trovarsi a Milano o in altre zone non fa molta differenza. Il problema non è quindi più geografico, ma riguarda le dimensioni dell’azienda: il mercato finanziario e le istituzioni spesso lasciano all’abbandono le piccole imprese come la nostra, che a mio giudizio rappresentano l’ossatura portante del sistema economico italiano. Oggi il piccolo imprenditore lotta contro tutto e contro tutti. Anche per questo motivo sto seguendo con attenzione il lavoro della Compagnia Delle Opere perché ritengo che sia l’unica associazione di imprese che nasce da un ideale e lo porta avanti guardando alla persona, all’individuo, e non il fatturato.

(Claudio Perlini)

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