Il ballottaggio per il Comune di Milano si avvicina e un’ampia fetta di milanesi non ha ancora deciso chi votare. Tra chi invece non ha dubbi c’è don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità. Il leader dell’istituzione voluta dall’ex arcivescovo Carlo Maria Martini è da anni in prima linea nella difesa delle fasce più deboli, dalle persone con disagio psichico ai rom. In questi giorni il sacerdote ha firmato un documento di esplicito sostegno al candidato del centrosinistra, Giuliano Pisapia. Lo sfidante della Moratti ha ottenuto l’appoggio di molti cattolici, nonostante alcuni dubbi legati alle sue posizioni sui cosiddetti principi non negoziabili.



UNIONI CIVILI – Nel programma elettorale di Pisapia si afferma per esempio che «la comunità cittadina è caratterizzata dalla presenza di forme di legami affettivi e di vita stabili e duraturi, estranei all’istituto del matrimonio, ed è doveroso che l’amministrazione comunale promuova e tuteli i diritti costituzionali contrastando ogni forma di discriminazione, in particolare quelle riferite agli orientamenti sessuali (cioè quelle delle coppie omosessuali, ndr). Sotto questo profilo quindi il registro delle unioni civili che il comune intende istituire non è un atto simbolico, ma funzionale all’adozione di politiche e di atti non discriminatori».



FRATERNITA’ INCLUSIVA – A chi gli chiede come concilia la difesa dei valori non negoziabili, tra cui c’è la famiglia naturale, con il voto a Pisapia che promuove le unioni civili, don Colmegna risponde: «Questo punto non fa parte del programma di Pisapia: caso mai è il frutto della radicalizzazione dello scontro. Ci mancherebbe altro che fossimo a favore dell’eutanasia e di altre scelte che la nostra coscienza credente confronta con l’insegnamento del magistero della Chiesa. State certi che i principi eticamente sensibili andranno difesi. Mi sento sereno conoscendo Pisapia anche umanamente, e credo di potere garantire per lui. Ma il vero principio non negoziabile che mi ha spinto a scegliere Pisapia è che a Milano è in atto una campagna discriminatoria contro soggetti che provengono da altre etnie e Paesi. E anche quello della fraternità inclusiva è un principio non negoziabile».



LA MOSCHEA – Mentre per quanto riguarda il centro islamico, don Colmegna osserva: «Immaginare di costruire una grande moschea finirebbe per creare paure che poi si concentrerebbero tutte in un’unica area della città. Personalmente preferisco tanti luoghi di culto islamici articolati sul territorio, per garantire a tutti i musulmani il diritto di esprimere la loro fede». Una posizione, quella di don Colmegna, che sembra in linea con quella espressa anche oggi dalla Moratti

HOUSING SOCIALE – Tra le priorità per don Colmegna c’è inoltre l’housing sociale, cioè le case a prezzi calmierati per le fasce più deboli. Un principio che è un elemento caratterizzante del Pgt da poco approvato dalla giunta Moratti. Su questo il presidente della Casa della Carità osserva: «Il Pgt include una parte che riguarda l’housing sociale, che è un elemento determinante. Io per primo ho preso posizione affermando che questa parte andava inserita in quanto strategica. Il Piano del territorio non va quindi cancellato o annullato totalmente, ma vanno rivisti gli indici di volumetria venduti agli immobiliaristi e aumentato il livello di partecipazione recuperando tutte quelle osservazioni dei cittadini che per i tempi stretti non sono state prese in considerazione».

DALLA MORATTI A PISAPIA – Don Colmegna, prima di firmare l’appello a favore di Pisapia, per quasi cinque anni ha collaborato strettamente con la giunta Moratti. Tanto che il sindaco gli ha dato molto credito, al punto da farsi ispirare da lui in alcune scelte che riguardavano l’intera città. Il presidente della Casa della Carità ricorda così la parabola appena conclusa: «Dopo essermi coinvolto con l’assessorato alle Politiche sociali, negli ultimi anni ho osservato una deriva che andava verso l’esclusione dei diversi. Improvvisamente c’è stata una sterzata non prevista che ha prodotto una serie di ripercussioni negative. Non mi sento quindi coinvolto nelle politiche sociali del Comune, tranne nei casi in cui ha rispettato quanto stabilito inizialmente. Il peso degli urli, degli scontri, dello sfruttamento dei rom come capri espiatori ha reso impossibile un’apertura politica. Introducendo invece, come dimostra la vicenda di Triboniano, il virus della chiusura sistematica e della stigmatizzazione».

UNA «NUOVA» SUSSIDIARIETA’ – Da sottolineare infine il modo con cui don Colmegna interpreta il principio della sussidiarietà. Per il presidente della Casa della Carità non è innanzitutto un limite che la politica deve rispettare per non invadere lo spazio del terzo settore, ma un dovere di solidarietà nei confronti dei rom e degli immigrati. «Nella dottrina sociale della Chiesa non esiste sussidiarietà senza solidarietà e tensione al bene comune – afferma il sacerdote -. Io interpreto quindi la sussidiarietà come capacità di partecipazione al bene comune, la cui radice è una cultura di solidarietà, di fraternità, di uguaglianza, di cittadinanza inclusiva, in grado di affrontare la questione migratoria a partire da uno sguardo globale. Non si può quindi dire che “il bene comune è solo per quelli di casa nostra”, o “prima gli italiani e poi gli altri”. Questi messaggi infatti non esprimono una cultura di bene comune, ma un egoismo corporativo che apre sempre dei nuovi conflitti».

 

(Pietro Vernizzi)