«”La Strada” è nata trent’anni fa a Milano come associazione di volontariato. A differenza di molte altre associazioni non è stata creata per affrontare un solo problema, ma per rispondere ai molteplici bisogni che ogni giorno si incontrano, come quelli legati all’adolescenza, alla tossicodipendenza, alla disoccupazione o alle povertà materiali e morali», racconta a IlSussidiario.net Walter Izzo, fondatore dell’associazione e oggi Presidente dello storico Asilo Mariuccia di Milano. Un’esperienza quella de La Strada da cui nel tempo sono nate numerose opere: «Centri di aggregazione giovanile, laboratori di formazione e inserimento lavorativo per giovani e adulti in difficoltà, case di accoglienza per minori, per ragazze madri e malati di Aids. Oggi migliaia di allievi frequentano corsi professionali alla Galdus, l’ente formativo legato al gruppo. Cerchiamo insomma di aiutare tutti e nello stesso tempo abbiamo il desiderio di offrire una proposta educativa».
Cosa intende dire?
Un tempo si educavano i giovani attraverso la propria vita di genitore, di prete, di adulto appassionato; poi si è passati all’appello (teorico) ai valori, fino ad arrivare alle attuali tecniche educative, psicologiche e sociali. Ormai non si parla più infatti degli ideali e dei valori che andrebbero trasmessi ai giovani, in un mondo in cui l’apparenza e il sogno contano più della realtà e la forza vale più del diritto.
Mi chiedo come faranno i ragazzi ad essere onesti, buoni e altruisti e come faranno ad avere una prospettiva che vada oltre il semplice benessere e che punti alla felicità. Forse lo faranno per i complimenti dell’autorità di turno, o per mamma e papà, o perché lo dicono i media. È evidente che non bastano le tecniche o i processi educativi, c’è un assoluto bisogno dei contenuti dell’educazione.
E quale deve essere il corretto rapporto tra pubblico e privato davanti a questa immensa sfida?
Occorre rifarsi anzitutto al principio di sussidiarietà, termine coniato nel 1931 da Papa Pio XI nell’Enciclica “Quadragesimo anno”. Deriva da “subsidium afferre”, “portare sussidio”. In parole povere afferma che è giusto e umano che libere aggregazioni di uomini si adoperino per rispondere ai bisogni di soggetti più deboli. Inoltre è doveroso che l’Ente Pubblico sostenga queste libere aggregazioni e che non si sostituisca ad esse. Quindi lo Stato, nelle sue varie articolazioni, deve aiutare e finanziare associazioni, cooperative e fondazioni laddove questi soggetti dimostrino di saper organizzare servizi e strutture adeguati.
Solitamente questo accade?
Per decenni lo Stato ha invaso ogni campo e la parola sussidiarietà è sparita dai vocabolari e dalle enciclopedie presenti nelle nostre case. Dopo decenni di silenzio, però questo termine è riapparso nei trattati di Maastricht dell’Unione Europea perché i singoli membri channo chiesto che l’Europa non si sostituisca ad essi.
Se il principio a livello teorico è stato sdoganato, a che punto siamo con la sua applicazione?
Di questo principio si parla tanto, generalmente a sproposito. Spesso, ad esempio, i Comuni vogliono spendere poco, mostrando però la loro attenzione nei confronti di minori abbandonati, dei tossicodipendenti e dei malati di Aids. Questa però non è sussidiarietà: se l’Ente Pubblico indica i bisogni che ha individuato e le modalità per farvi fronte si realizza una “sussidiarietà alla rovescia”. Le imprese sociali lavorano sotto questa “regia” e magari si vedono pagare le proprie prestazioni dopo un anno. Una sorta di finanziamento senza interessi con cui le imprese sociali sostengono l’Ente Pubblico dopo aver lavorato a basso costo.
Un tema quanto mai attuale se si leggono i programmi dei due candidati alla poltrona di Sindaco del Comune di Milano. Direi che è il caso di riflettere attentamente prima di votare e di chiedere poi a chi sarà eletto di confrontarsi lealmente con le imprese sociali e di sostenerle, per il bene di tutti.