Caro direttore,
           nella sua cruda semplicità Alberto Contri ieri ha fotografato su IlSussidiario.net una situazione davvero giunta al suo massimo degrado, allorché, a proposito dei manifesti elettorali, parla di un vero e proprio “carciofo” da spelare di manifesti sovrapposti. Mi ha sollecitato però a una riflessione ulteriore. C’è comunicazione elettorale oggi? È difficile dire di sì, come è impossibile dire di no. Ma non si capisce più chi comunica, cosa e a chi. Il fatto è che i candidati prima hanno scelto i media, gli strumenti di comunicazione e poi i contenuti. Una volta scoperto che i contenuti latitavano ci si è lasciati prendere dal demone dell’Immagine. Una bella foto e una frasetta. È la via maestra che conduce all’astensionismo.



Non è provato poi che aver fatto un bel programma di per sé significhi qualche cosa: si tratta di promesse. I candidati a Milano ne hanno fatto uno su tutto e per tutti. In aggiunta c’è il partito di Governo che ha redatto librettini su cosa si è fatto, zona per zona. Ma una po’ massicciamente: come se le cose che sono scritte provenissero direttamente dagli ultimi anni di legislatura. Ad esempio alcuni centri anziani c’erano da decenni. Il fatto che non si sono chiusi non significa nulla.  E che a Milano ci sono 10 botteghe storiche che significa? Sono state  riconosciute con una targa. Bello. Ma è una cosa che merita citazioni in “cose fatte”?



Ritornando alla comunicazione più diretta dei candidati si vede che molti hanno appaltato il servizio a uffici Stampa specializzati. Ma questi ultimi spesso non hanno scritto le cose più pregevoli portate avanti dai candidati.

L’esempio più eclatante è stato l’articolo su IlSussidiario.net della Moioli (assessore) in cui l’articolista ha scordato di ricordare la grande riforma da lei portata: l’accreditamento dei servizi sociali in luogo di appalti di servizio. Una vera riforma. Perché non citarla?

Così tra uffici stampa che fanno quel che possono, manca davvero la consapevolezza del cittadino di andare a votare per qualcuno che c’è, e per qualche cosa di evidente che porta avanti. Non ci sono più comizi, non c’è tv, non c’è informazione sui quotidiani, oggi tutti in giro a telefonare e incontrare. Bello, ma molto, molto complesso per dire che questa è… la politica che opera. Qualcosa si deve sapere per votare una persona. Così, e lo dico con amarezza, vengono premiate le oligarchie di potere. Qualunque sia questa oligarchia. Il famoso  fardello di voti che il tizio porta. La tale organizzazione. Insomma la comunicazione è una ricerca di chi può portare voti.



C’è oggi uno scetticismo che domina la comunicazione politica. Uno scetticismo fatto a posta per scoraggiare una scelta. Un’impossibilità di argomentare, di saper desiderare e ascoltare che sconcerta. Una mancanza voluta (?) di verifica della propria scelta e di conseguenza un ideologismo da pantofolaio. Come se la politica fosse il tema di altri, un territorio che abiteranno pochi eletti. Un divismo senza attributi di qualità e ragioni. Un’assenza di significato, perché preme poco la ragione di una scelta. Vale la pena di tornare all’abc.

Ad esempio l’unità dei cattolici è verificabile. Dove abita meglio? Quale luogo, quale forza politica apre la possibilità di questa libertà, senza una forzatura sull’etica, ma sulla persona, il suo io, il suo desiderio di protagonismo? Quale forza politica desidera un equilibrio di poteri? Quale persona può garantire, a Milano ad esempio, una nuova stagione di sussidiarietà associativa autentica?

Sono domande. Ma gratta gratta c’è la risposta. Alcuni sono settari, ideologici e forcaioli, altri molto meno. Alcuni amano ciò che c’è di buono e lo valorizzano, anche con le targhe, altri pensano che un po’ di casino in più sia meglio di niente.

Così tra siti internet e amici di amici che telefonano passa  questa triste campagna elettorale, dove pare nessuno abbia guadagnato alcunché. Un peccato per chi perde e per chi vince. Eppure in questi 10 giorni può accadere di tutto.

Anche che il desiderio anestetizzato si risvegli, che l’io di ogni cittadino abbia un sobbalzo e inizi a valutare, che allo scetticismo si sostituisca una forte visione di ciò che di bene è presente, riconoscibile e meritevole di crescere. Ecco il nuovo della campagna elettorale: quello che c’è di buono deve crescere, quello che manca trovi un responsabile che inizi il percorso. Pur duro. Ma ci provi.

Non c’è mai stato il nuovo in astratto, il futuro nella immaginazione. C’è un presente da comunicare e questo presente lancia i suoi segnali nel futuro. Chi questi segni li coglie cammina, chi non è capace, faccia il suo bel manifesto e si metta alla finestra.

Peccato per lui!