Sarà perché a 55 anni la memoria comincia ad avere un corso abbastanza lungo, ma la piazza del Duomo di Milano invasa dai multicolori supporter di Giuliano Pisapia non mi stupisce affatto. Qualche escandescenza si poteva prevedere, i toni arroganti erano inevitabili, e poi tutto sommato non è successo nulla di grave. Insomma, le cose sono andate come dovevano andare, visto l’esito del ballottaggio.
Da domani i problemi del nuovo sindaco saranno quelli di chi si troverà a governare una città che si trova nel pieno di un processo di trasformazione che bisognerà prima conoscere e poi gestire bene, e che non potrà essere indirizzato se non in parte dal nuovo orientamento politico.
Insomma, siamo tutti curiosi di capire come Pisapia e la sua squadra imposteranno i rapporti interni (perché il fronte della cosiddetta sinistra è veramente molto, troppo ampio, e le parti non si amano alla follia tra loro) e quelli con le diverse componenti sociali ed economiche della città. Siamo curiosi di sapere in che modo la squadra di Pisapia interpreterà la cultura di questa città, come la aiuterà a uscire da un’impasse che la precedente amministrazione non ha risolto. Non mi stancherò mai di ripetere che il problema fondamentale di Milano è un problema culturale.
Siamo anche curiosi di vedere in che modo il nuovo sindaco saprà modificare, alla prova della dura e refrattaria realtà dei fatti, quell’idea tenue e un po’ tetra della città che ha presentato nelle sue diverse dichiarazioni pre-elettorali.
Al di là di tutto questo, e dopo un sentito “in bocca al lupo” a Pisapia, perché ne ha davvero bisogno, vengo ad alcune considerazioni che potrebbero essere utili a vincitori e vinti.
La prima domanda, naturale ma non scontata, è: chi ha vinto? I vincitori “formali” delle elezioni dovranno stare molto attenti a rispondere. L’immagine della signora Finocchiaro a “Porta a Porta”, tutta soddisfatta per la vittoria di De Magistris a Napoli, è un monito a evitare le risposte facili.
Quello che sappiamo è che ha perso Berlusconi, e che la sconfitta è pesantissima, forse irreparabile sia per le sue proporzioni sia perché frutto di uno stesso, diffuso malumore. Il consenso popolare di cui Berlusconi ha goduto è quasi certamente finito, la capacità del Cavaliere di stabilire un filo diretto con il paese è finita. Per certi aspetti, non è nemmeno così importante cercare le cause: è cambiato il vento.
I poteri forti internazionali non hanno mai visto di buon occhio Berlusconi, un homo novus nato e cresciuto fuori dalla classe dirigente italiana, e che a un certo momento – quando quella classe cadde nel gorgo di Tangentopoli – ne ha preso il posto. Però in qualche modo l’hanno sostenuto, perché la mancanza di alternative era evidente (più a loro che a noi).
Un uomo si trovò insomma a guidare un paese rimasto senza classe dirigente, e se il suo tentativo di trasformare l’Italia in un’azienda sul modello Mediaset può apparire quantomeno pericoloso, va detto che nessuno, da noi, ne ha mai trovato un’altro se non a parole, con i libri, come quelli di D’Alema (“Un paese normale”) o di Veltroni (“La bella politica”): titoli che già da soli testimoniano di una certa prevalenza dei sogni sulle idee.
Ora, in questa fase cruciale dell’Italia ci mancherebbe solo che i sogni andassero al potere! Ora che Berlusconi è al tramonto – e su questo non può esserci nessun dubbio – e né gli elettori né i poteri forti lo sostengono più, quale classe dirigente guiderà il nostro paese? Per questo continuo a domandarmi: chi ha vinto? Possibile che l’affermazione di De Magistris a Napoli – con una percentuale di affluenza alle urne così bassa da insospettire chiunque – non metta un po’ di inquietudine all’interno della stessa coalizione vincente? Possibile che la foga di vincere sia così forte da obnubilare le mente di persone che si sono sempre dimostrate perlomeno riflessive (penso a certi esponenti del Pd)?
La mia personale opinione è che potrebbe iniziare per l’Italia una brutta stagione. Non a causa dei Pisapia o De Magistris (ai quali, come detto, è bene fare ogni buon augurio) ma a causa di un vuoto che queste elezioni, anziché colmare, rischiano di spalancare sempre di più. Il mio amico prof. Giulio Sapelli, una tra le migliori menti di questo paese, paventa un rischio-Weimar. Io voglio essere un po’ più ottimista e paragono questo piccolo terremoto ai grandi terremoti politici occorsi in Tunisia o in Egitto.
La gente si è stancata, viene il momento in cui la misura è colma. Ma questa giusta rivolta, questo salutare scrollone, come la storia ci ha insegnato tante volte, è spesso la maschera di un disordine profondo, di una crisi antropologica che viene molto prima di quella politica. Anche se la vittoria della sinistra, e proprio della sinistra, qualcosa ci dice: che il mondo si è impoverito, che le emergenze sociali si moltiplicano. Così, a ragione o a torto, anche i custodi un po’ nostalgici di vecchie ideologie possono raccogliere inaspettati consensi.
Ma ho paura che anche questo sia solo un equivoco. Forse tra qualche mese, o tra un anno, gli eventi ci diranno chi sono stati i veri vincitori. Spero solo che quel giorno possa non essere un brutto giorno.