«Le situazioni di uscita dalla recessione per le piccole e medie imprese milanesi non sono semplici, perché la loro capacità produttiva si mantiene a livelli significativamente maggiori della domanda e la selezione del credito da parte delle banche frena gli investimenti. Ma d’altra parte le Pmi stanno tenendo duro in attesa di una ripresa che deve ancora materializzarsi. E questa attesa va colta con ottimismo, perché significa che la maggior parte delle aziende milanesi resiste nonostante tutte le avversità». Luigi Campiglio, professore ordinario di Politica economica dell’Università Cattolica di Milano, nonché prorettore con funzioni vicarie, commenta così i dati della quinta rilevazione dell’Osservatorio Permanente sulla Micro e Piccola Impresa Milanese. Un rapporto realizzato da Altis, l’Alta Scuola di Impresa e Società dell’Università Cattolica, diretta da Mario Molteni.



Secondo il rapporto di Altis, il 74,3% delle Pmi milanesi nel 2010 ha mantenuto stabili i dipendenti, il 12,6% lo ha aumentato e il 13,2% lo ha diminuito. Che quadro fotografano questi dati?

Fotografano un sistema di piccole e medie imprese che tiene duro nonostante le condizioni non favorevoli, nella prospettiva che deve essere materializzata di una ragionevole ripresa dell’attività economica. E’ una situazione d’attesa che va colta con ottimismo, perché significa che molte delle imprese resistono nonostante le avversità. Eppure tre quarti delle Pmi lamenta di sentire gli effetti della crisi ancora nel 2010.



Quali sono le prospettive di uscita dalla recessione?

Non semplici, perché questa crisi non è stata come le precedenti. Ha provocato un riassetto dell’intera struttura produttiva mondiale, che era già in corso, ma che si è ulteriormente accentuato soprattutto per le conseguenze che ha provocato.

 

Per Altis il 49,9% delle imprese dichiara di avere rinunciato a fare investimenti nel 2010. Di che situazione è indice questo dato?

 

In primo luogo è indicazione del fatto che la capacità produttiva esistente delle imprese continua a essere significativamente superiore alla domanda, interna o estera. Ma soprattutto rispetto alla domanda interna, che riguarda molte delle piccole e medie aziende milanesi, e che è tuttora particolarmente frenata. E quindi in assenza di una domanda con prospettive di sviluppo di crescita, è chiaro che anche gli investimenti non riescono a decollare.



 

Ma questo dipende in parte anche dal ruolo delle banche?

 

Sì, perché c’è stata tutta una fase di selezione dei soggetti cui erogare credito, che in parecchie circostanze ha frenato investimenti che un tempo erano possibili. L’inasprimento dei requisiti di patrimonializzazione per le banche (previsti dall’entrata in vigore di Basilea 3, Ndr) comportano infatti l’adozione di criteri di selettività che a volte finiscono per rendere più difficile il finanziamento alle piccole e medie imprese.

 

Che cosa possono fare le Pmi milanesi per uscire dalla recessione?

Qualora ciò è possibile, la prima e fondamentale indicazione è quella di unirsi e trovare formule di cooperazione produttiva di tipo orizzontale o verticale. Non dimentichiamoci infatti che la questione fondamentale per il nostro Paese è il fatto di avere imprese che con il tempo sono diventate troppo piccole. Un problema simile a quello della demografia delle famiglie, che sono diventate a loro volta troppo frammentate. E, soprattutto per le piccole e medie imprese che non hanno alle spalle la struttura delle grandi aziende, il problema dei finanziamenti oggi si fa sentire più di prima. Quindi le Pmi devono creare delle reti in cui integrarsi. Mi rendo conto che non è facile, ma comunque è indispensabile per sopravvivere. Anche perché nel momento in cui le imprese formano delle reti, possono essere degli interlocutori più affidabili e robusti nel contrattare condizioni di credito. In una fase un cui gli investimenti sono a livelli bassi, degli investimenti di razionalizzazione per consentire di aumentare la produttività sono già di per sé uno straordinario elemento di crescita, soprattutto per quelle imprese che lavorano sui mercati esteri.

 

Qual è l’importanza delle Pmi per il tessuto sociale ed economico di Milano?

 

L’importanza è elevatissima. Milano è una delle aree economiche che continuano ad avere delle potenzialità di sviluppo molto elevato. E questo nonostante il fatto che lavorare a Milano, per le famiglie e per le imprese, abbia oramai costi molto elevati. I livelli dei prezzi nel capoluogo lombardo sono infatti più sostenuti che altrove, a partire da quelli degli immobili, è questi si scaricano poi sui costi dei beni finali. E, in assenza di un’adeguata dinamica della produttività, finiscono per generare quindi una minore competitività per le nostre imprese.

 

(Pietro Vernizzi)

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