Qual è lo stato di salute della piccola impresa milanese? Quanto si fanno sentire ancora gli effetti della crisi? E come vedono il futuro gli imprenditori dell’area forse più dinamica del Paese? Sono queste solo alcune delle questioni a cui tenta di dare risposta la quinta edizione del Rapporto elaborato dall’Osservatorio permanente sulla micro e piccola impresa milanese, nato nel 2006 dalla collaborazione tra Altis, l’Alta scuola impresa e società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e la Fondazione sviluppo impresa della Compagnia delle Opere di Milano e Provincia e cofinanziato dalla Camera di Commercio di Milano.



Basato sulle risposte a un questionario inviato nell’autunno 2010, il monitoraggio del sistema imprenditoriale milanese ha riguardato un campione di 515 micro e piccole imprese, rappresentative della popolazione milanese di Pmi sia in termini dimensionali (81,9% micro imprese, 14,6% piccole e 3,5% medie), sia in termini settoriali (il 26,2% delle imprese appartengono all’industria, il 23,3% al commercio e il 50,5% ai servizi).



È interessante osservare come le imprese esaminate siano davvero “piccole”: nel 31,3% dei casi si tratta di ditte individuali (o srl unipersonali), mentre nel 61,9% dei casi il numero di soci è compreso tra 2 e 4. È questa una caratteristica molto peculiare del Rapporto che rende i risultati particolarmente significativi (le piccolissime attività imprenditoriali tendono infatti a “sfuggire” a questo tipo di analisi per le difficoltà che si incontrano nell’ottenere risposte ai questionari quando l’organizzazione d’impresa è ridotta all’osso).

Un primo risultato che emerge dall’indagine, e che vale la pena di segnalare subito, è che il 2010 è stato per l’occupazione davvero un punto di svolta: il 74,3% delle aziende ha mantenuto stabile il numero di collaboratori impiegati, il 12,6% lo ha aumentato e solo il 13,2% ha dovuto diminuirlo. Per confronto, nel 2009 ben il 59,0% delle imprese intervistate aveva registrato una diminuzione di occupazione. Come ci si poteva aspettare, in termini puramente occupazionali sono le medie e le piccole imprese che riescono a cogliere meglio la ripresa: la percentuale di aziende che hanno aumentato i collaboratori nel corso dell’anno è del 33,0% tra le medie, del 28,4% tra le piccole e solo del 8,9% tra le micro.



Una brutta notizia viene invece dai dati relativi agli investimenti, cruciali per conservare e possibilmente accrescere la capacità innovativa del nostro sistema produttivo: quasi la metà delle aziende intervistate dichiara di aver rinunciato a effettuare investimenti nel 2010, dato identico a quello registrato nel 2009. Si conferma quindi anche per il 2010 un forte calo della propensione agli investimenti (e non sorprendentemente a investire nell’ultimo anno sono state soprattutto le medie imprese, con un tasso del 77,8%, contro solo il 46,7% delle micro aziende).

Per quanto attiene poi alla fiducia nel futuro, solo il 35,0% delle imprese intervistate ha manifestato l’intenzione di effettuare nuovi investimenti nel corso del 2011. E anche in questo caso emerge un forte fattore dimensionale, perché, mentre solo il 29,1% delle micro imprese prevede investimenti nei prossimi 12 mesi, il dato sale al 60,0% per le piccole e al 66,7% per le medie. Infine, solo il 42,9% dei rispondenti ha dichiarato di avere introdotto negli ultimi tre anni innovazioni significative, e quando questo è avvenuto l’innovazione ha riguardato maggiormente il prodotto/servizio offerto che non il processo produttivo adottato.

Per quanto attiene al rapporto con il sistema creditizio, il 31,8% dei rispondenti lamenta anche per il 2010 una certa difficoltà nelle relazioni con le banche. Le questioni più spinose sembrano essere la difficoltà di accesso al credito (67,9%), il livello di tassi e commissioni giudicato troppo elevati (37,0%) e una certa spersonalizzazione della relazione che conduce spesso a un approccio burocratico alla valutazione da parte degli istituti di credito (38,3%). Nella spasmodica ricerca di condizioni contrattuali più favorevoli oppure nel desiderio di ampliare la gamma di servizi a disposizione, oltre la metà del campione (56,1%) ha conti correnti presso più di una banca e addirittura il 10,7% si serve simultaneamente di almeno 4 banche diverse.

Buone notizie, infine, per quanto attiene all’internazionalizzazione: il 30,5% delle imprese milanesi ha intrattenuto in qualche modo rapporti con l’estero nel corso del 2010 (approvvigionamenti, vendite o operazioni estere). L’elemento essenziale della capacità di internazionalizzazione di un’azienda è ovviamente rappresentato dalle esportazioni. Sotto questo profilo, i dati del Rapporto indicano che il 22,0% delle aziende del campione vende direttamente o indirettamente i propri prodotti/servizi in altri Paesi, mentre il 16,4% ha fatto acquisti diretti di materie prime o componenti. Tuttavia, solo il 3,6% ha sedi o uffici di rappresentanza all’estero.

La maggiore dimensione sembra favorire l’apertura internazionale delle imprese: le medie imprese esportano nel 47,1% dei casi e importano dall’estero nel 43,8% (contro rispettivamente il 18,2% e il 13,4% delle micro). Nonostante questi dati incoraggianti, l’estero rappresenta ancora una quota ridotta dell’attività aziendale, tanto che per il 59,8% delle imprese esportatrici il peso del fatturato estero sul totale è inferiore al 10% e solo nel 12,5% dei casi rappresenta più del 50%. Per quanto attiene ai mercati di sbocco del nostro export, l’Europa Occidentale continua a far la parte del leone essendo la destinazione del 74,1% del fatturato delle imprese che esportano, seguita dall’Europa dell’Est (9,1%) e dall’Africa e Medio Oriente (6,0%).

Quali conclusioni dunque trarre, in via di sintesi, da questo articolato documento che qui abbiamo potuto riassumere solo per sommi capi? Sebbene si tenda ad accreditare la tesi che la crisi sia ormai alle spalle, dal Rapporto 2010 Altis-CdO sullo stato di salute della piccola impresa milanese emerge tuttavia chiaramente come anche nel 2010 i contraccolpi della crisi si siano fatti sentire in modo forte. Sia in termini di ancora poca occupazione sia in termini di ridotti investimenti. Riduzione del volume di attività e crisi di liquidità (derivante dall’allungamento dei tempi di incasso dai clienti) sono effetti che hanno morso anche nel 2010, mentre per l’anno corrente, in un contesto generale di restrizione del credito, continua a far paura il problema di come reperire risorse per finanziare gli investimenti e far fronte ai pagamenti.

Dal Rapporto emerge anche in modo chiaro come la dimensione ridotta possa diventare un vincolo forte alla capacità di creare occupazione, fare investimenti, internazionalizzarsi. D’altro canto nella moderna economia della conoscenza la dimensione da sola non garantisce forza competitiva: oggi un’impresa è competitiva se riesce ad aggregare e a potenziare conoscenze e competenze, a creare legami di fiducia, a far nascere un idem sentire sul lavoro. In altri termini, soltanto la valorizzazione della persona e delle relazioni tra persone garantisce forza competitiva (e infatti spesso, come ci ricorda proprio il Rapporto, le alleanze tra imprenditori e la crescita a rete si bloccano per la difficoltà a instaurare rapporti di vera fiducia).

Dunque, per uscire dalla crisi diventa oggi cruciale investire nella persona, ovvero nella crescita del capitale umano, e nella qualità delle relazioni tra le persone, ovvero nel capitale sociale. Dobbiamo, in altri termini, recuperare la centralità del lavoro nel processo produttivo rilanciando la centralità dell’impresa nella promozione dello sviluppo.

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