«Quello che emerge dal rapporto di Altis è che la fase di recessione sembra terminata. Ma pensare di poter tornare automaticamente ai valori del 2007 è una pura illusione. La ripresa può passare soltanto dal rafforzamento delle imprese, dallo sforzo per avvicinarsi alla fase terminale della filiera e dall’incorporare la tecnologia in prodotti e servizi». A sottolinearlo è Guido Corbetta, prorettore dell’Università Bocconi e professore di Corporate strategy, che commenta i dati della quinta rilevazione dell’Osservatorio Permanente sulla Micro e Piccola Impresa Milanese, realizzato da Altis dell’Università Catttolica in collaborazione con la Compagnia delle Opere.
Professor Corbetta, quali sono le prospettive di uscita dalla crisi per le imprese milanesi?
Stiamo vivendo una crisi che ha dei risvolti di una portata tale che non possiamo pensare che si risolvano nel breve periodo. Lo dimostra per esempio quanto sta avvenendo in Grecia. Quelle che stiamo attraversando sono difficoltà con cui le imprese dovranno imparare a fare i conti in modo stabile. Dobbiamo renderci conto di quanto siano fuori luogo le aspettative di una rapida ripresa di mercati, domanda, prezzi e redditività. Al contrario dovremo abituarci a convivere con una situazione di maggiore difficoltà in termini di domanda e marginalità.
Ma quali sono le prospettive di uscita da questa situazione?
Escluso che ciò possa avvenire nel breve termine, nel medio e lungo periodo l’uscita dipenderà da numerose variabili. Dal rapporto di Altis emergono alcuni dati positivi, come il fatto che sono diminuite le politiche aziendali di riduzione del personale, ma è presto per dire che stiamo uscendo dalla crisi. Al contrario, siamo all’inizio di un ripensamento della presenza delle imprese a Milano, e non sappiamo che cosa rimarrà della manifattura nel capoluogo lombardo. Quello che è rimasto oggi è molto diverso da quello di dieci o 15 anni fa e tra dieci anni sarà diverso rispetto a oggi.
In che senso?
L’impatto della tecnologia sulla manifattura fa sì che le imprese migliori dovranno inglobare più hi-tech nella loro offerta. Prima competevamo con capi d’abbigliamento o calzature di qualità medio-bassa, ora invece sono disponibili tessuti tecnologici che trasmettono un’immagine anche estetica molto più sofisticata. Per uscire dalla crisi è indispensabile percorrere questa strada. Dal rapporto di Altis emergono comunque due aspetti positivi: il primo è che le imprese hanno stabilizzato la fase di discesa, il secondo che c’è molta prudenza nelle politiche di investimento. Qualcuno potrebbe interpretarle male dicendo che si investe poco, al contrario ritengo che sia importante investire con prudenza.
Ma è possibile investire con prudenza e nello stesso tempo innovare?
Sì, per esempio cercando di essere il più possibile vicini alla fase terminale della filiera produttiva e ricordandosi di quanto siano importanti le dimensioni.
Non si dice che piccolo è bello?
Dal rapporto di Altis emerge l’esatto contrario. Si dice infatti che «a investire nell’ultimo anno sono state soprattutto le medie imprese». Il 77% delle medie aziende ha fatto investimenti, contro il 47% delle micro. Anche per il futuro il 29% delle micro imprese prevede investimenti, contro il 60% delle piccole e il 67% delle medie. Le stesse proporzioni valgono per l’internazionalizzazione. Non sappiamo quando usciremo dalla crisi, ma di certo lo faremo con imprese che saranno un po’ più grandi di quelle attuali.
Come una sorta di selezione naturale?
Il termine «selezione naturale» indica sempre che qualcuno debba morire «divorato» da chi sopravvive. Io ritengo che le cose non stiano in questi termini. Al contrario credo in un processo in cui tutti diventeranno più forti. Se io mi metto insieme a un altro, non muore nessuno dei due, ma creiamo insieme una realtà più forte. E a guadagnarci così è anche l’imprenditore che vende.
In quali altri modi è possibile innovare senza rischiare il fallimento?
Per farlo non è necessario un investimento in capitali, immobili, impianti e macchinari. Spesso basta prendere un paio di neolaureati e mandarli per tre mesi in Vietnam, o in qualche altro Paese asiatico, per imparare le strategie migliori per vendere anche lì i nostri prodotti. Diciamo che è un investimento soprattutto dal punto di vista concettuale.
Qual è il ruolo delle banche che emerge dal rapporto di Altis?
Naturalmente le imprese investono un po’ meno anche a causa delle restrizioni del credito. Le banche però non sono in grado di cambiare radicalmente politica e aumentare i crediti senza compiere prima adeguate valutazioni. Le imprese inoltre devono aspettarsi per il loro futuro anche un costo maggiore del debito, che ultimamente aveva toccato livelli troppo bassi. Dal rapporto emerge però che le difficoltà di accesso al credito riguardano il 68% delle imprese milanesi, o che il livello dei tassi di commissione è considerato troppo elevato dal 37% degli intervistati. Anche da questo punto di vista non mi aspetto però dei cambiamenti per il prossimo futuro che possano ridurre il costo del debito.
Non c’è quindi soluzione alle difficoltà di rapporto tra banche e Pmi?
Il punto è che non esiste nessun problema nel modo con cui le banche erogano il credito. Se le imprese milanesi stanno facendo i loro progetti per il futuro a partire dal presupposto che l’anno prossimo avranno più credito disponibile a costi più bassi, stanno sbagliando i conti. Anche al fine di ottenere più credito, l’unica soluzione per le imprese è quella di diventare più forti, ingrandendo le loro dimensioni.
Ma per quali motivi le imprese milanesi non lo fanno?
In realtà lo stanno facendo già da tempo. La legge che eroga delle agevolazioni per chi crea delle reti di aziende è stata accolta in modo molto favorevole dagli imprenditori. Sempre più spesso quindi si stipulano contratti con altre imprese per realizzare insieme una parte del prodotto, del servizio, della ricerca, e questo sta cominciando ad avere una sua rispondenza positiva.
Le imprese hanno anche bisogno di più informazione?
Sì, perché chi governa è sempre criticabile, però a volte gli strumenti per le aziende esistono ma non sono utilizzati. Per esempio solo il 20% degli imprenditori conosce l’esistenza dei buoni lavoro dell’Inps. Per migliorare l’economia di Milano, basterebbe per esempio che il 100% degli imprenditori fossero informati di questa iniziativa.
(Pietro Vernizzi)