«Dal rapporto di Altis sulle Pmi lombarde emergono dei timidi segnali di uscita dal ciclo negativo. Ma se guardiamo più a fondo quanto sta avvenendo, osserviamo che la situazione è molto più complessa. Le aziende medie o medio-piccole stanno esaurendo gli ammortizzatori sociali, e quindi presto la loro situazione occupazionale si farà più critica. Mentre il calo della produttività, che in un primo momento aveva avuto ripercussioni soprattutto per le imprese medie o medio-piccole, nel 2010 ha iniziato a produrre un effetto a cascata anche sulle micro imprese». Ad affermarlo è Fabio Antoldi, responsabile della divisione Pmi di Altis e professore di Strategia aziendale in Cattolica.



Professor Antoldi, nel 2010 il 74,3% delle Pmi milanesi ha mantenuto stabili i dipendenti e il 12,6% lo ha aumentato. È un segno di ripresa?

Sono i primi segnali del fatto che la situazione occupazionale ha toccato il fondo, e che il 2010 è l’anno in cui si è invertita la tendenza. Nel 2009, 59 imprenditori su 100 hanno dichiarato di aver dovuto licenziare o interrompere dei rapporti di lavoro. Adesso la diminuzione riguarda solo 13 imprese su 100. Viceversa la stabilità nel 2009 riguardava solo il 10% degli intervistati, oggi riguarda il 74%. Il quadro che emerge è quello di un 2008-2009 in caduta libera, e di una stabilizzazione nel 2010.



Quindi si può affermare che siamo usciti dalla crisi?

Altis non sta lavorando su dati macroeconomici, ma su dichiarazioni e percezioni degli imprenditori. Inoltre la maggior parte delle aziende intervistate ha tra uno e tre addetti. E soprattutto non abbiamo calcolato il numero di contratti a tempo determinato che non sono stati rinnovati. Le medie e le grandi imprese in questi mesi stanno avendo ancora a che fare con il problema della disoccupazione, perché fino a oggi hanno usufruito degli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione. Dal momento che gli ordinativi non stanno ripartendo probabilmente intensificheranno i licenziamenti, già iniziati nel primo semestre del 2011.



Com’è invece la situazione per le microimprese?

Non potendo contare sugli ammortizzatori sociali, dal punto di vista occupazionale hanno già toccato il fondo da tempo. Ma quando abbiamo chiesto loro se nel 2010 continuassero gli effetti della crisi del 2008, attraverso la riduzione degli ordinativi e la crisi dei pagamenti, una percentuale significativa di micro e piccole imprese ci ha risposto di sì.
Nel 2010 si è verificato un effetto a cascata: la sofferenza è stata avvertita soprattutto dalle microimprese, mentre le piccole e le medie dichiarano che non sono più così pesantemente sotto gli effetti di quella crisi. Cioè è come se in qualche modo le piccole e medie imprese, che dal punto di vista occupazionale hanno già sofferto nel 2009, hanno vissuto un 2010 in cui hanno iniziato ad alzare la testa. Questa riflessione incrocia due domande differenti poste da Altis agli intervistati, grazie alle quali è possibile compiere una considerazione di matrice macroeconomica su come l’onda lunga di questa crisi impatta sull’occupazione ufficiale delle medie-grandi imprese.

Nel 2010 il 30,5% delle Pmi milanesi è presente all’estero, contro il 29% del 2009 e il 26% del 2008. Questo almeno è un evidente dato positivo …

Sono i dati di un’internazionalizzazione più subita che cercata. In quel 30,5% infatti non c’è solo l’impresa che deliberatamente va a cercare il cliente all’estero, ma anche il commerciante milanese che ha iniziato a gestirsi delle forniture in maniera diretta con la Cina. Questo non è l’effetto di una strategia, bensì di un’internazionalizzazione che è venuta a bussare alle porte delle case e delle botteghe dei nostri imprenditori. Diverso è il discorso per quanto riguarda l’export. La domanda posta dall’osservatorio era infatti se ci fosse un rapporto di qualsiasi tipo con un mercato estero, e dalle risposte è emerso che l’internazionalizzazione è aumentata. Ed è aumentata per forza, perché il mondo va in quella direzione.
L’export invece ha avuto un andamento leggermente diverso: aumenta in modo costante solo per le imprese manifatturiere e di dimensioni medio-grandi. Per le imprese più piccole l’internazionalizzazione rimane ancora un’area grigia, nella quale è difficile inoltrarsi. Certamente le imprese di servizi hanno una minore vocazione internazionale, perché giocoforza i servizi devono essere prodotti e consumati sul luogo. E quindi l’artigiano installatore non ha una propensione all’export perché il tipo di lavoro che fa è fortemente localizzato. La piccola impresa manifatturiera, che produce magari un componente elettronico particolare, oppure che assembla componenti elettronici di importazione estera, è invece molto più esposta alla internazionalizzazione.

Gli investimenti passano dal 50% del 2009 al 50,1% del 2010, e le prospettive per i prossimi 12 mesi passano dal 33% del 2009 al 35% del 2010. E’ un segnale incoraggiante?

E’ una situazione che si è sostanzialmente stabilizzata. Non vale la pena speculare sullo 0,1% ma neanche sul 2%. C’era una propensione all’investimento che negli anni precedenti alla crisi era percentualmente più significativa, e che a seconda degli anni variava tra il 56% e il 60%. Questa propensione agli investimenti ovviamente ha avuto una battuta d’arresto nel corso del 2009 e di nuovo del 2010.
Agli imprenditori abbiamo chiesto inoltre come vedessero i prossimi 12 mesi e se pensavano che avrebbero investito. E anche in questo caso la percentuale dei sì è stata inferiore rispetto ai livelli pre-crisi. Fino al secondo trimestre 2008 c’era infatti un 42-44% di imprese che dicevano: «Io comunque non mi fermo qui, ho ancora intenzione di investire». Adesso siamo su valori più bassi, pari al 33% nel 2009 e al 35% nel 2010. Anche in questo caso se guardiamo al bicchiere mezzo pieno quel 2% in più può essere un timido segnale del fatto che si sta invertendo il ciclo di pessimismo e quindi qualche possibilità in più rispetto alla capacità di investire nel corso del 2011 è stata avvertita già nel 2010.

(Pietro Vernizzi)

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