In pochissimo tempo Milano ha visto due grandi cambiamenti: il primo per iniziativa sua, con il voto dei cittadini; il secondo per volontà del Papa. Come già anticipato sugli organi di stampa, da ieri infatti Angelo Scola è il nuovo arcivescovo di Milano. Benedetto XVI ha scelto ufficialmente il Patriarca di Venezia come successore di Dionigi Tettamanzi sulla cattedra di sant’Ambrogio. «L’obbedienza è l’appiglio sicuro per la serena certezza di questo passo a cui sono chiamato» ha detto il cardinale Scola nel suo primo messaggio di saluto alla città. «È un intellettuale finissimo» dice di lui Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere «però accanto all’intellettuale vedi l’uomo che ha del popolo l’immediatezza, che sa parlare con la persona che non ha studiato perché la raggiunge col cuore. Saprà senz’altro ascoltare tutti».



Aldo Cazzullo, da osservatore del costume e della politica italiana, com’è la diocesi che attende Angelo Scola?

La diocesi di Milano ha sempre avuto una sua autonomia anche culturale rispetto al resto della Chiesa italiana. Molto spesso questa autonomia culturale è stata interpretata dai media come declinata a sinistra, anche se uno come il cardinal Martini non ha mai avuto problemi a definirsi un «conservatore» sotto alcuni punti di vista, della dottrina e della morale per esempio. Sicuramente Milano è molo attenta non soltanto ai temi forti della povertà, ma ai problemi del sociale, della comunicazione, del rapporto tra mondo cattolico e resto della società laica. Ma proprio da questo punto di vista, Scola è molto, molto attrezzato.



Cosa intende?

Scola non ha nulla di integralista, di chiuso. Al contrario, è un uomo molto aperto ai mondi diversi dal suo. Ho avuto modo di constatarlo di persona tutte le volte che l’ho intervistato per il Corriere, alla vigilia della festa del Redentore (una delle più antiche feste popolari veneziane, ndr), o quando ho fatto con lui il libro intervista La vita buona e in tante altre occasioni. Certo non si può chiedergli di rinunciare alle sue idee, vicinissime a quelle dei due ultimi pontefici, con i quali ha un’indiscutibile sintonia intellettuale e umana. Scola ha però costruito un suo pensiero originale: idee come quella di «vita buona», di «meticciato», di «nuova laicità», per dirne alcune, sono sue.



Le farà valere anche a Milano?

Certamente. Anzi, proprio questo pensiero fatto di concetti nuovi e molto forti collocherà Scola in continuità con la tradizione di spiccata autonomia culturale della Chiesa ambrosiana rispetto al resto del mondo cattolico, ma senza contrapposizioni o contrasti. Sono convinto che Scola saprà dialogare con tutta la società civile milanese, non solo con i cattolici, ma anche con tutto il mondo laico.

Secondo lei cosa porta Scola a Milano della sua decennale esperienza pastorale a Venezia?

A Venezia ha fatto innanzitutto un grande lavoro culturale. Ha fondato lo Studium Generale Marcianum, e la rivista plurilingue Oasis, dedicata al dialogo e all’incontro tra occidente e oriente, e allo stesso tempo ha mostrato grandi qualità di pastore. È stato uno dei primi cardinali ad avere un sito internet. Non è difficile incontrarlo per strada: ama andare nelle parrocchie, visitare i malati, incontrare gente. Ha saputo far propria la dimensione profondamente umana di Venezia, perché Venezia è l’unica grande città italiana in cui c’è ancora un popolo. È stato accolto dai veneziani, ma non è stato difficile per lui farsi accogliere. Per un intellettuale non è scontato.

Questo popolo che ha citato, c’è ancora a Milano o no?

Ho qualche dubbio. C’è, ma in periferia. A Venezia il popolo vive ancora nel centro storico, mentre a Milano il centro, al di fuori degli happy hours, di Brera, delle Colonne di San Lorenzo o di Corso Como, si spopola già nel tardo pomeriggio. Milano è un posto in cui si va a lavorare, ma poi la sera la gente torna a casa. Ho l’impressione che un popolo a Milano esista ancora, ma che vada cercato a Quarto Oggiaro, nei paesi della cintura.

E Scola è attrezzato per incontrare questo popolo, assai più vario e composito di quello veneziano?

Sicuramente sì, innanzitutto perché lui stesso è lombardo, ma lombardo «manzoniano» (il riferimento è a Malgrate, in provincia di Lecco, paese originario di Scola, ndr) e dunque di periferia. Ha radici provinciali molto forti e questa è una sua grande fortuna. È un intellettuale finissimo, però accanto all’intellettuale vedi l’uomo che ha del popolo l’immediatezza, che sa parlare con la persona che non ha studiato perché la raggiunge col cuore. Certo Scola non darà ragione a tutti, ma saprà senz’altro ascoltare tutti.

Lei come lo ha conosciuto?

Seppi che gli piacevano le mie interviste, e ne concordammo una. Mi parlò della sua idea di nuova laicità, il giorno dopo tutti i giornali dibattevano le questioni aperte da Scola, da Prodi a Pannella. Ho continuato ad intervistarlo. Non è difficile: in lui si trova un calore umano che fa sentire a proprio agio.

Che cosa lo ha più colpito di lui, durante le molte occasioni della vostra collaborazione?

La modernità e il confronto con la modernità. Fa propri tutti i grandi temi che interrogano un cattolico oggi: la vita, la sessualità, la psiche, il progresso della scienza, i confini della tecnica. Non arretra di fronte a nulla. E poi, quella che definirei la sua idea centrale: e cioè che il cristianesimo non è sofferenza, privazione, costrizione, ma la chiave per vivere al meglio la propria esperienza di uomini, in tutti le sfere della personalità: gli affetti, l’amore, il senso del bello, la malattia, la morte. Occorrerà ascoltarlo. I suoi ragionamenti potranno sembrare talvolta complessi, ma lui avrà la risposta pronta: «dicono che parlo difficile, ma è perché vogliono sentire solo cose che già sanno».

«Fosse stata decisa collegialmente» ha scritto Sandro Magister sul suo sito «dall’alto clero e dai maggiorenti del laicato milanese, la sua nomina non sarebbe mai passata». È così?

Non credo. Può darsi che ci sia ancora qualche remora legata al lungo percorso di Scola dentro Cl, ma per come l’ho conosciuto è aperto verso tutti. Saprà ascoltare tutte le posizioni, e se anche ci fossero timori in proposito, sono convinto che saranno presto dissipati. E mi risulta che il consenso nei suoi confronti sia stato ampio. Stimo molto Magister, ma credo che in questo caso si stia sbagliando.

(Federico Ferraù)