Basta guardare aldilà delle Alpi, a Londra, Parigi, nell’Europa centrale  per capire da un lato le ricadute che potrebbero essere generate su Milano dalla creazione di un polo internazionale dell’arte a Milano, la “Grande Brera” rilanciata da Letizia Moratti, ex Sindaco del capoluogo lombardo, e dall’altro la complessità del sistema di  forze civili, sociali ed economiche che va messo in campo per cogliere i benefici dell’iniziativa.



In Europa i poli museali urbani sono da qualche tempo una leva di sviluppo delle città, attraggono sempre più turisti, fanno sbocciare iniziative educative, di formazione e di nuova imprenditorialità, producendo utili e crescita del capitale umano. Il lancio del Beauburg, area parigina museale ha fatto da apripista in questo settore negli anni Novanta. Ma l’iniziativa più recente e che ha avuto maggior successo in questo settore riguarda l’apertura all’inizio del 2010 del South Bank di Londra, una lunga passeggiata artistica sul Tamigi che ha permesso di collegare nuovi e vecchi musei, dalla nuova alla vecchia Tate Gallery fino al nuovissimo museo dedicato all’arte del design, che ha fruttato immediatamente l’aumento del dieci per cento dei visitatori nell’area.



Si tratta di esempi di grande sviluppo e rigenerazione urbana basati sulla conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico delle città già imitati ad Amsterdam, dov’è stato creato il circuito artistico del Rijksmuseum del Concertgebouw, Stedelijk Museum e soprattutto del Van Gogh Museum, ma anche a Francoforte con la creazione del Museumsufer.

Chi ha studiato e messo a confronto in Europa questi casi esemplari ha individuato quattro elementi necessari per raggiungere gli obiettivi: ferreo inquadramento istituzionale tra enti locali e responsabili nazionali, la partnership pubblico-privato, la definizione di piani industriali che siano redditizi, cioè che producano utili, sistemi di governance blindati per assicurare gestioni solide e capaci di reggere nel tempo.



Milano per quanto riguarda la creazione della Grande Brera non parte da zero, tenendo conto che se oggi l’immagine mondiale della città è fondata per lo più sulla moda e sul design, anche l’attrattività artistica gioca la sua parte, un fattore che cresce continuamente in città, quantificato intorno all’aumento del sette per cento annuo, mentre il resto d’Italia è in controtendenza.

Dal punto di vista istituzionale la Grande Brera (Accademia, Pinacoteca e altri sedi museali) ha alle spalle il Patto per Milano, che il Comune di Milano ha sottoscritto nel 2008 con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Ministero della Difesa per la “Conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale cittadino”. Un accordo che vede uniti Comune e Governo nel recupero e nella valorizzazione di prestigiose sedi culturali, nella promozione dell’immagine artistica di Milano nel mondo e nell’impulso alla ricerca scientifica sul patrimonio milanese con il contributo delle migliori energie pubbliche e private.

L’anno scorso l’allora sindaco Moratti, con i ministri della Difesa dell’Università, della Cultura e con Mario Resca commissario straordinario sul progetto per Brera, avevano sviluppato l’accordo fatto a fine 2008, per il rilancio dell’Accademia e la valorizzazione del museo che potenzialmente è uno straordinario museo, ma che per diversi motivi, logistici e organizzativi, non riesce ancora a diventare museo all’altezza dei grandi musei europei, insieme a  una grande valorizzazione anche dell’accademia.

Il percorso va ripreso,  è molto impegnativo e richiede una collaborazione e un’attenzione molto forti, visto quanto è successo per il progetto Expo 2015, sgusciato fuori dalle difficoltà tecnico-burocratiche solo in questi giorni.

Per la Grande Brera occorre tra l’altro costituire una Fondazione con i privati, facendo perno sul Ministero per la cultura, che risponda al quadro delle leggi italiane in materia di conservazione artistica; ridefinire con il Comune di Milano un progetto di fattibilità per cui si è fatto avanti il Politecnico di Milano, quantificando gli spazi, calcolando i costi, garantendo  equilibrio tra i vari ambiti e lanciare un concorso internazionale.

Nel contesto italiano di conflitti politici e istituzionali questi passaggi politici e tecnici, obbligati, rendono l’impresa Grande Brera un progetto davvero notevole, prima ancora della giusta ambizione di trasformare l’immagine attuale di Milano in quella di una città d’arte – già difficile soprattutto in un Paese come l’Italia, con un’offerta culturale e artistica tanto elevata.