L’espressione “promesse elettorali” rischia di soppiantare nel linguaggio normale il vecchio detto “promesse da marinaio”, riferito all’abitudine attribuita ai marinai di avere una ragazza in ogni porto, a ognuna delle quali veniva fatta promessa di matrimonio, ovviamente in un futuro imprecisato. Come si può notare, le analogie tra politici e marinai sono cospicue, pur nella diversità di rischi ed emolumenti.
Le promesse dei politici sono però di due tipi diversi. Un primo tipo sono le promesse elettorali vere e proprie, dirette a ingraziarsi un gruppo particolare di elettori, anche molto vasto, promesse però che spesso sono già a priori chiaramente impraticabili, oggettivamente o per volontà soggettiva. Vedasi il caso delle promesse del centrodestra sul quoziente familiare. In questi casi vale il detto popolare “passata la festa, gabbato lo Santo”.
Vi sono poi le promesse in periodo elettorale, relative a interventi di grande interesse generale, ma fatte senza tenere nel debito conto le situazioni reali. Si pensi alla promessa di Berlusconi di ridurre le imposte, chiaramente impossibile date le circostanze, come ha dimostrato la finanziaria recentemente approvata. E qui risulta appropriata l’espressione “aver fatto i conti senza l’oste”, in questo caso un oste molto duro, la realtà.
La promessa di Pisapia di far viaggiare gratis gli ultra sessantacinquenni, già oggetto di un mio precedente intervento, rientra in entrambe le tipologie e per questo mi permetto di riparlarne, non per una particolare acrimonia nei confronti di questa proposta, di cui sarei oltretutto un beneficiario.
Sul primo aspetto, di una proposta senza una chiara base logica, ma con un chiaro tentativo di captatio benevolentiae nei confronti di un particolare gruppo di elettori, mi sono espresso nel primo intervento.
La proposta di Pisapia è però anche un buon esempio di promesse elettorali del secondo tipo, cioè fatte senza nessun calcolo preventivo sulla loro fattibilità. Infatti, sarebbe sorprendente se la nuova amministrazione comunale si fosse accorta solo ora che la proposta aveva un costo, perché non occorre essere un esperto di alta finanza per capire che se non si fa pagare il biglietto a una parte di viaggiatori le entrate diminuiscono e si apre un buco nei conti.
Forse c’è stato un errore di calcolo, pensando che gli anziani che usano i mezzi pubblici siano molto pochi, ma in questo caso si sarebbe trattato solo di una promessa di facciata, “per farsi belli”. O forse, l’dea sottostante è di tipo “tremontiano”, e cioè il budget ATM deve rimanere immutato e ciò che si “regala” a una parte di viaggiatori viene sottratta a un’altra, aumentando le tariffe. In effetti, questa potrebbe essere una mossa preventiva, anticipando la misura cosiddetta sociale alla vera stangata. Staremo a vedere.
Non si tratta di sterile polemica, ma di reale preoccupazione. Vi sono diversi punti nel programma dell’attuale amministrazione che si prestano a considerazioni simili e la nostra classe politica, locale e nazionale, di destra e di sinistra, ci ha ormai abituato a promesse, o perfino decisioni, che poi sono risultate senza copertura finanziaria o con grossi errori di calcolo. Il tutto si è normalmente risolto in una sostanziale disattesa delle promesse, o dei provvedimenti, oppure in un ulteriore aggravio per i cittadini. Pessimismo? Anche qui staremo a vedere.
Per oggettività, e tornando agli anziani, non è che la precedente amministrazione abbia fatto faville, al di là di quanto già detto sui servizi di trasporto pubblico. Molti interventi urbanistici, in sé importanti e pregevoli, sembrano tuttavia sottintendere una città fatta da soli baldanzosi giovani, una città in cui bambini, mamme con carrozzine e anziani, più o meno con bastone, sembrano non esistere, una città che per costoro spesso si presenta coma una sorta di percorso di guerra. Anche per l’assoluta assenza e indifferenza della vigilanza urbana, che pare ormai diventata una sorta di agenzia delle entrate comunale, dedita solamente a comminare multe agli automobilisti, che peraltro spesso le meritano.
Da anni si parla periodicamente di introdurre un vigile di quartiere, senza farne rigorosamente nulla. Eppure, gli anziani come me ricorderanno la figura familiare del “ghisa” agli incroci più pericolosi, davanti alle scuole o per le vie del quartiere. Dove è finita la polizia locale, i cui appartenenti probabilmente ora si sentirebbero offesi a sentirsi chiamare familiarmente “ghisa”?
C’è da dire che anche una parte degli anziani è responsabile per questo oblio reale della loro categoria, al di là della propaganda elettorale. Mi riferisco a quella numerosa minoranza di anziani che insiste a considerarsi giovani, non nello spirito, ma nelle sembianze e nei costumi, fino spesso a rasentare il ridicolo. Ancora una volta ci si trova di fronte a un problema di cultura, cioè di rapporto con la realtà, quella reale, non quella che fa comodo immaginare.