1.113 vite umane salvate. Vite di bimbi, le cui mamme hanno deciso di rinunciare all’interruzione di gravidanza dopo che, in un primo momento, condizionate da situazioni di disagio economico, l’aborto sembravo loro l’unica soluzione. Una scelta che si è sostituita a quella infinitamente più drammatica di porre fine alla piccola esistenza che stava prendendo forma nel loro grembo; e che, probabilmente, senza il Fondo Nasko, lasciate sole al loro destino, non avrebbero mai compiuto. Quello che ha permesso, in pochi mesi, che quei bambini nascessero, è un progetto della Regione Lombardia. L’assessore alla Famiglia Giulio Boscagli, che ha chiesto – e ottenuto – un rifinanziamento per il progetto da 5 milioni di euro,  spiega a IlSussidiario.net in cosa esso consista, e come si svilupperà, in futuro, il welfare lombardo nella prospettiva dei tagli imposti della manovra finanziaria.



Assessore, anzitutto: che cos’è il Fondo Nasko?

Si tratta di un supporto economico erogato in favore di quelle donne che hanno deciso di non abortire, e che lo avrebbero fatto unicamente per motivi di ordine economico. E’ costituito da un contributo di 250 euro erogati su una carta prepagata ricaricata ogni mese per 18 mesi complessivi, che interessano sia il periodo precedente al parto che quello successivo.



Perché un fondo dedicato alle donne che abortiscono per problemi di soldi?

Perché le donne che decidono di interrompere la propria gravidanza, unicamente per problemi finanziari, e non per ragioni ideologiche o sanitarie, sono ben il 30 per cento del totale. Con problemi finanziari, oltre che carenza di reddito, intendiamo anche tutte quelle situazioni in cui per una gravidanza rischiano di perdere il lavoro, perché in condizioni di precariato e con contratti a termine.  L’idea, in particolare, l’ha avuta il presidente Formigoni dopo aver visto l’esperienza del Centro aiuto per la vita della clinica Mangiagalli. Nasko, inoltre, ha preso spunto dal progetto Gemma dei Movimenti per la vita. Lo abbiamo esteso, rafforzato e consolidato.  



Oggi parliamo di un ri-finanziamento, ma da quanto tempo esiste il Fondo?

Abbiamo iniziato a ottobre dell’anno scorso, anche  allora con uno stanziamento di 5 milioni. Siccome eravamo arrivati vicini all’esaurimento del fondo,  la nostra delibera lo ha rimpinguato. Spero di poterlo rendere presto aperto ad altri contributi, di singoli o imprese.

 

Una donna come può accedervi?

 

Oggi, ci sono 66 consultori, tra pubblici e privati, e 22 Centri di aiuto alla vita accreditati presso la Regione dove le donne incinte possono chiedere informazioni su Nasko e di poterne, eventualmente, usufruire; lì sottoscrivono un programma di formazione, che le accompagna per 18 mesi; i Centri forniscono loro, in alcuni casi, vestitini usati ma in perfette condizioni o passeggini.

 

Oltre ai consultori e ai Centri aiuto per la vita, dove può una donna venire a conoscenza del progetto?

 

Dato che l’obiettivo della 194 dovrebbe essere quello di tutelare la maternità, il medico della struttura pubblica o privata cui si rivolge per abortire dovrebbe, nello spirito della legge, fornire le informazioni relative al fondo. Noi abbiamo dato ai consultori indicazioni ben precise.

 

Chi è favorevole all’aborto potrebbe rinfacciarvi l’aver impegnato la Regione in un’attività etica che non le compete…

Sarebbe una polemica priva di fondamento. Se ci sono delle donne che, nel momento in cui ricevono sostegno dal fondo, decidono di non abortire, vuol dire che la scelta iniziale di interrompere la gravidanza era condizionata, si sentivano, in qualche misura, obbligate. Una forma di costrizione, quindi, di fronte alla quale chiunque dovrebbe riconoscere che anche scegliere di non abortire è una libertà da promuovere.

 

Rispetto ai tagli previsti dalla manovra finanziaria, come pensate di impostare l’iniziativa sociale della Giunta?

 

Quest’anno abbiamo fatto i salti mortali per non toccare i fondi disponibili per il sociale. Per l’anno prossimo, le difficoltà aumenteranno. Abbiamo ipotizzato di superarle introducendo il ”fattore famiglia”, un parametro di riferimento per la compartecipazione alla spesa per i servizi legato alle condizioni il più possibile oggettive del nucleo familiare. Chi ha di più contribuirà di più al mantenimento dei servizi, chi non ce la fa sarà aiutato a disporne egualmente.

 

Con meno risorse, che criteri adotterete per stabilire quali interventi rappresentino una priorità e quali no?

 

Finora abbiamo stabilito che la priorità fosse la spesa sociale e l’abbiamo favorita. Avremo un ulteriore dibattito in autunno, quando dovremo affrontare il bilancio dell’anno prossimo. Non è, tuttavia, un problema che si esaurisce nelle decisioni della Giunta, ma riguarda la sensibilità complessiva della nostra gente: pian piano tutti dovranno capire che le risorse sono scarse.

Quindi?

 

Le faccio un esempio: in Lombardia la spesa pubblica (non solo Regione, ma anche Provincie e Comuni) per i trasporti equivale  – grosso modo – a quella per il sociale. Il problema, quindi, non riguarda solo la politica. Intendo dire: quanto siamo disposti a pagare un po’ di più i trasporti per avere maggiori risorse da destinare ai vecchietti che stanno nella casa di riposo o ai disabili che non possono vivere da soli? Sarà la società e non la politica, nei prossimi anni, a dover rispondere a questa domanda.

 

Crede che i tagli obbligheranno a ripensare il welfare lombardo?

 

Il problema non sono tanto i tagli (che, in ogni caso, condizionano parecchio) quanto il fatto che il governo ha varato una legge delega di riforma dell’assistenza che nel giro di due anni dovrebbe riformare il settore a livello nazionale. Noi, quindi, già da adesso stiamo lavorando perché alcuni principi che sono tipici dell’impostazione lombarda – la centralità della persona e della famiglia, la libertà di scelta, l’accreditamento del pubblico e del privato a parità di condizioni – siano salvaguardati dalla riforma generale.

 

 

(Paolo Nessi)

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