Ormai la politica italiana è diventata un derby avvelenato, tra destra e sinistra, ma anche all’interno, tra gruppi contrapposti dei singoli schieramenti. La partita in questione non è tanto la vittoria di una linea
politica , il legittimo tentativo di far prevalere alcune scelte nell’interesse della società italiana. Il problema principale è diventato la cosiddetta “questione morale”, per cui il vincitore è colui, o il gruppo, che inchioda più avversari sul banco degli imputati. A essere precisi, non si tratta neppure, nella maggioranza dei casi di imputati o di condannabili, ma di imputabili. In venti anni di cosiddetta Seconda Repubblica c’è ormai un esercito di “avvisati di garanzia”, che hanno dovuto abbandonare la politica, prima di essere processati. E occorre aggiornare sempre i conti su quelli che hanno dovuto aspettare decenni per essere riabilitati e assolti dopo un “calvario” giudiziario che è passato anche per le patrie galere e magari attraverso una condanna in primo grado. Risolto (si fa per dire) il “caso Papa” all’ombra di una fantomatica P4, risolto (si fa sempre per dire) il caso di Alberto Tedesco incistato nelle vicende delle inchieste sulla sanità pugliese, adesso i media si stanno concentrando sul “caso Penati”, esponente del Pd nazionale, ex comunista di punta di Sesto San Giovanni e della Provincia di Milano. Essendo i “casi” in questione, relativi ai due schieramenti contrapposti, la battaglia mediatica impazza sovrana, magari trascurando aspetti ben più pesanti della situazione politico-economica nazionale e internazionale. Ma come si diceva prima, i “casi” provocano anche lacerazioni all’interno degli schieramenti.
La presidente del Pd, la signora Rosy Bindi, sempre integerrima sulla “questione morale” (chissà chi le pagava le campagne elettorali nella Dc ?), ha subito sentenziato sul “caso Penati”: “ Ho visto morire la Dc (di cui lei faceva parte, ndr.) perché c’erano i corrotti, non voglio vedere il mio nuovo partito turbato da un socialista”. Bah ! Che cosa di può dire? Naturalmente segue la polemica della destra, per i tempi di attenzione giudiziaria sul “caso Penati” e per il diverso trattamento che viene riservato dalla magistratura alla destra e alla sinistra. Ancora a sinistra, ci sono accorati pensieri di esponenti politici che vedono nel “caso Penati” una perdita della famosa diversità storica della sinistra. Verrebbe voglia di rispondere: quale differenza ? Quella garantita dai dollari del moscovita Ponomarev ? E qui cascano le braccia. Per prima cosa, di fronte a tutto questo guazzabuglio, Filippo Penati ha replicato: “Sono accusato con una montagna di calunnie da due imprenditori indagati in altre vicende giudiziarie che cercano così di coprire i loro guai con la giustizia. Non ho mai preso soldi da imprenditori e non sono mai stato tramite di finanziamenti illeciti a partiti a cui sono stato iscritto”. Perché
non credergli fino a prova contraria ? Invece, giù con il machete, dipingendo un Penati con Rolex, griffato Armani e frequentatore di “salotti chic”, prima ancora che cominci il processo. Alla fine si assiste solo a un gioco al massacro cominciato all’inizio degli anni Novanta , dove la “cultura del sospetto”, teorizzata dal para-khomeinista Leoluca Orlando, il famoso ex democristiano sindaco di Palermo, ha ormai vinto su tutta la linea. Nonostante il “bagno di pulizia” di mani pulite e nonostante la monotona insistenza della “questione morale”. Ma come mai non riescono a farla diventare ordine morale dopo venti anni di Seconda Repubblica ? Forse non se lo chiedono, perché altrimenti dovrebbero, quanto meno, uscire di scena o, in casi disperati, suicidarsi, politicamente parlando.
Quindi, come non ci hanno convinto gli “affari” Papa e Tedesco, non ci convince neppure “l’affare” Penati. Certo, c’è un vizio di origine da stabilire. Chi ha pensato di risolvere i problemi politici delegando alla magistratura i rapporti di forza tra i partiti e le grandi lobbies finanziarie, raccoglie solo quello che ha seminato. In questo caso, Bettino Craxi è stato un profeta inascoltato: “Finiranno tutti allo stesso modo, perché mentono tutti per la gola. Oggi (anni Novanta ndr.)
tocca a socialisti, laici, democristiani, domani toccherà agli ex comunisti e ad altri”. C’ è una questione ulteriore da aggiungere a questa cronaca di “massacri giustizialisti”. Tutte le volte che, in questi ultimi venti anni, si assiste in Italia al tentativo di creare un nuovo equilibrio politico, la magistratura diventa accortissima e particolarmente intraprendente. Si dice e si è scritto nei giorni scorsi che l’ingegner Carlo De Benedetti (sempre più “liquido” per via giudiziaria) si sia incontrato con alcuni grandi esponenti della finanza italiana. Oggetto della riunione, la possibile sponsorizzazione di un governo tecnico, guidato da un Talleyrand supertecnico come Mario Mondi. Che c’è di meglio che mettere alle berlina, in un simile frangente, qualsiasi esponente di destra o di sinistra di quello che resta della politica italiana?