Lo sposalizio della Vergineil Cristo morto, La cena di Emmaus: sono solo alcuni degli inestimabili capolavori contenuti all’interno della Pinacoteca di Brera. Collocata nel palazzo che ospita, al contempo, l’Accademia delle Belle Arti, la Biblioteca Braidense, l’osservatorio astronomico, l’orto botanico e l’istituto Lombardo di scienze e Lettere, rappresenta una delle più grandi collezioni d’arte al mondo; la struttura, nel suo complesso, è invece uno dei simboli per eccellenza della cultura milanese. Eppure, ormai da decenni, la ricchezza che vi risiede all’interno, non viene adeguatamente sfruttata. «Nonostante i tanti capolavori ammirati», scrive Luca Doninelli su queste pagine, l’impressione è quella di «un museo brutto, disordinato, raffazzonato, senza il minimo riguardo per il visitatore».



Il motivo è semplice: lo Stato, cui spetta la competenza, nel tempo se ne è disinteressato, non adeguando le strutture di un complesso sorto secoli fa alle esigenze attuali. L’ex sindaco Letiza Moratti ha deciso di farlo tornare agli antichi splendori, facendosi sponsor di una cordata di imprenditori privati che finanzino il progetto “Grande Brera”. Di questo,  mercoledì 27 luglio, ne ha discusso con il ministro per i Beni culturali, Giancarlo Galan. IlSussidiario.net  ha chiesto a Salvatore Carrubba, presidente dell’Accademia di Brera, di descriverci le implicazioni del progetto sulla Città.



Quali sono le peculiarità della Pinacoteca?

La Pinacoteca di Brera vanta un patrimonio che la rende una delle maggiori gallerie italiane. Nacque per volontà di Napoleone che, volendo farne una galleria di portata nazionale, vi ammassò i quadri delle più svariate scuole dell’arte italiana. In questo modo è stato realizzato un museo unico, dove si possono ammirare capolavori che vanno dal Mantegna al Caravaggio. Credo che di questo i milanesi ne siano consapevoli; ci si dovrebbe aspettare che anche gli stranieri lo fossero.

Quali sono le principali criticità relative al suo funzionamento?



Un museo nato nel 1700, per poter funzionare al meglio, necessita oggi di condizioni differenti rispetto a quelle di quando fu realizzato, deve rispondere a nuove esigenze. Per esempio, un tempo non c’era bisogno dei servizi al pubblico – come ristoranti, caffetterie, book-shop. Ma se un tempo tali servizi non li forniva nessun museo, oggi Brera è l’unico a non disporne. La Pinacoteca non ha, inoltre, gli spazi sufficienti per poter svolgere correttamente le proprie funzioni. Bisogna, quindi, ristrutturare il palazzo in cui risiede, e trovare luoghi ove ampliarla. E far sì che tutte le strutture che operano all’interno del palazzo, possano lavorare in condizioni ottimali. A partire dall’Accademia. E’ nata nel 1756 e oggi, con 3500 studenti, non è pensabile che  dia il massimo con gli spazi attuali.

 

Perché, ad oggi, gli interventi necessari non sono ancora stati realizzati?

 

E’ evidente che da parte dello Stato non si è verificato un interesse prioritario su questa struttura.

 

In cosa consistere il progetto di rivalutazione del complesso?

 

Il processo di valorizzazione è sostanzialmente ripreso l’anno scorso, quando si è firmato l’accordo che consentirebbe all’Accademia delle Belle Arti di trasferirsi nell’ex caserma di Via Mascheroni e quindi di liberare gli spazi necessari alla Pinacoteca. Oltre alla realizzazione dell’Accademia, consisterebbe nella progettazione degli spazi dell’attiguo palazzo Citterio, dove la Pinacoteca si amplierebbe, nel restauro e nell’adeguamento del palazzo storico di Brera.

 

Qual è il suggerimento della Moratti nell’ambito del progetto generale?

Ha proposto di mettersi alla testa di una cordata di imprenditori che finanzino il progetto di restauro e che intervengano, fin da subito, nella gestione della strutture operanti.

 

Com’è andato l’incontro con il ministro Galan? Qual è stata la sua reazione?

 

Ha preso atto di questo interesse e, di fronte ad una situazione finanziaria critica, non ha potuto fare altro che ammettere che la possibilità di porre mano alla questione grazie ad un cordata di imprenditori privati non può che essere considerato un fatto positivo.

 

Che ricadute avrà sulla città?

 

Un museo che oggi è costretto ad accontentarsi di 250mila visitatori, nonostante il potenziale di gran lunga superiore, se adeguatamente valorizzato potrebbe generare un indotto economico molto importante. Ci si riapproprierebbe, inoltre, di una palazzo che per più di due secoli è stato il centro della cultura milanese. Rappresenta, infatti, un unicum nel panorama delle città d’arte europee. Esistono pochi luoghi con una concentrazione tale di funzioni culturali. Si tratterebbe del recupero di parte dell’identità e della storia cittadina.

 

L’assessore alla Cultura, Stefano Boeri, contesta la poca trasparenza del progetto, in virtù del coinvolgimento di una cordata a scapito di un’altra. 

E’ la legge stessa che impone delle condizioni di trasparenza e non sarebbe la prima volta che si crea una fondazione per gestire un museo statale. Basta seguire le regole, come si è sempre fatto e come intende fare Letizia Moratti. Inoltre, non ci sono, attualmente, altre cordate. Se dovessero sopraggiungere in futuro saranno messe nelle condizioni di competere.

 

Ancora oggi, non sono pochi quelli che guardano con sospetto l’intervento privato in opere pubbliche di questo genere.

 

Partirei dalla ricaduta negativa per la città rappresentata dal grande potenziale inespresso di un museo che, in qualunque altra parte del mondo, attirerebbe milioni di visitatori. Detto questo, in tutto il mondo, si va nella direzione di favorire l’accesso dei privati a interventi come il restauro o il recupero di grandi opere monumentali. Abbiamo già dei precedenti in Italia, anche recenti. Credo che il tabù dell’intervento dei privati nella cultura sia caduto da tempo.  

 

(Paolo Nessi)