E’ solo questione di tempo ma la Giunta Pisapia, come promesso, introdurrà l’Irpef. Contestualmente, prima o poi, aumenteranno il biglietto dell’Atm, i costi delle mense, quelli delle attività di Milano sport, i ticket di Milano ristorazione, e la Tarsu. Una stangata per le famiglie, quantificabile in circa 500 euro, come ha stimato l’ex assessore Marco Beretta su queste pagine. Difficile ravvisare in tali iniziative alcunché di positivo. Qualcuno, tuttavia, ci riesce, e attribuisce alla nuova tassazione un ruolo decisivo per la riscossa meneghina. Scrive Paolo Hutter su La Repubblica: «Ora ci sono tutte le condizioni per affrontare l’affascinante sfida del bilancio partecipato (…), per scoprire che, se sono chiari gli obiettivi e credibili gli amministratori, moltissimi cittadini sono disposti a fare qualche sacrificio per il bene comune». Se realmente siano così tanti i cittadini disposti a pagare più tasse, e se lo faranno col sorriso sulle labbra, lo abbiamo chiesto a Luigi Campiglio.
Cosa caratterizza, dal punto di vista della pressione fiscale, una corretta politica comunale?
Un buona amministrazione comunale per essere tale, anzitutto, deve essere efficiente. Detto questo, quello che, caratterizza l’efficienza dal punto di vista della tassazione è l’adozione delle tasse di scopo, il cui target è definito con cura e in anticipo. Se la proposta è quella di aumentare gli asili nido, ad esempio, i cittadini sono in grado di apprezzare meglio l’esborso che devono sostenere. Premesso che pagare le tasse è un dovere civico, la garanzia del controllo sull’efficienza e sull’efficacia con cui il governo realizza ciò per cui il cittadino ha pagato è fondamentale.
E nel caso dell’Irpef?
Manca è un legame chiaro tra la partecipazione del cittadino con il proprio reddito al gettito fiscale e come vengono utilizzati tali soldi.
La sua introduzione crede che abbia a che fare qualcosa con il bene comune?
In una situazione di estrema difficoltà come quella che stiamo vivendo attualmente, la pressione fiscale crescente e un ulteriore aumento delle imposte senza ritorni e benefici evidenti rappresentano pratiche estremamente insane, che poco hanno a che fare con il bene comune.
Quale visione sottende al principio per cui pagare le tasse è il modo migliore per partecipare al bene comune?
Affermare che pagare le tasse rappresenti la modalità privilegiata con la quale si invera il bene per i cittadini riflette una mentalità statalista, dove è il potere a dispensare i beni per la popolazione. Rappresenta un errore, inoltre, dal punto di vista economico e pratico.
Cosa intende?
Il concetto è semplice: un’amministrazione pubblica, per poter funzionare correttamente, deve avere obiettivi molto chiari, circoscritti e definiti e per ciascuno di questi obiettivi avere uno strumento adeguato. E’ un noto principio economico. E’ evidente che, in tutta una serie di ambiti della società, il terzo settore, le associazioni di volontariato, il non profit e il privato sociale rappresentino gli strumenti migliori per rispondere a determinate esigenze. Immaginare che lo stato sia un agente in grado di soddisfare tutti i bisogni dei cittadini, semplicemente non corrisponde al vero. Nell’idea di bene comune rientrano una serie di numerosi soggetti coinvolti che funzionano decisamente meglio di un generico contributo gettato nel calderone finanziario.
Quale sarà l’effetto sul ceto medio e sulle famiglie?
Estremamente negativo. Tenendo in considerazione anche gli altri aumenti, ci sarà una dilatazione netta della pressione fiscale generale, saliranno i prezzi e crescerà il relativo tasso di inflazione, mentre i redditi rimarranno congelati.
E sulle fasce deboli della popolazione?
All’interno dei consumi delle famiglie bisogna distinguere tra costi fissi del vivere civile (quelli indispensabili a condurre una vita dignitosa) e i costi variabili (che rappresentano una libertà di scelta). La quota di costi fissi, nei bilanci familiari, è più alta rispetto a quelli variabili proprio nel ceto medio-basso. Quindi, ogni genere di tassa introdotta, in questa fase, colpisce di più chi ha di meno. Perché intacca i costi fissi. Se prende il quintile più basso dei consumi delle famiglie del ceto medio-basso, qualcosa come il 60 per cento del reddito se ne va in affitto, luce, gas e trasporti, spese sui qual uno non ha margine di scelta. Aumentando i costi fissi, quindi, peggiorerà il tenore di vita della fascia più debole della popolazione.
(Paolo Nessi)