Se cent’anni fa avessero detto alle nostre bisnonne che nel futuro le loro pronipoti, per far nascere, crescere ed educare i propri marmocchi, avrebbero avuto bisogno di leggi, bandi e finanziamenti apposta, probabilmente avrebbero strabuzzato gli occhi e invocato, per le generazioni a venire, una particolare benedizione divina. Eppure, per invertire il trend demografico che ha reso l’Italia tristemente nota in Europa per l’abbondanza di vecchi e la penuria di bambini, l’intervento istituzionale è indispensabile. E non è solo questione di soldi: certo, è vero che le coppie, scoraggiate dalla crisi economica che ormai va avanti da più di 15 anni, non fanno più figli. Ma è anche vero che se li facessero, quei figli, poi ci sarebbe il problema di come farli crescere e a chi affidarli. Poi le coppie invecchiano, e non c’è nessun figlio ad accudirle. E’ il classico serpente che si morde la coda. A complicare le cose c’è anche la cosiddetta “fragilità familiare”, ovvero il fenomeno, tristemente in crescita, delle separazioni: in Italia ogni mille matrimoni ci sono quasi 300 separazioni. Una su sei in Lombardia, che vanta, se così si può dire, la palma di regione in cui i matrimoni durano meno, se nel 2009 le coppie che si sono divise sono state quasi 15mila (su meno di 86mila in tutta la penisola). Non è un caso, quindi, che proprio dalla Lombardia sia partita la sperimentazione di un nuovo sistema di welfare, che metta la famiglia al centro delle politiche sociali tramite un modello di compartecipazione che superi la logica meramente assistenzialista (tra l’altro economicamente non più sostenibile). Così, il 28 luglio, la giunta regionale lombarda, su proposta dell’assessore  Giulio Boscagli, ha varato, con la delibera numero 2055, il “Piano operativo per la famiglia”, che in unico documento ridefinisce obiettivi, mezzi, priorità e soggetti destinatari delle politiche sociali. “E’ necessario delineare – si legge nel documento – linee di intervento integrate che considerino la famiglia il principale soggetto sociale su cui investire per il futuro del Paese”.



Tra gli obiettivi prioritari, c’è quindi quello di promuovere e sostenere la valorizzazione delle cosiddette “reti sociali naturali” e di prossimità (ovvero il vicinato), l’associazionismo, le comunità locali per sviluppare un modello di welfare “comunitario, partecipato e sostenibile”. Per questo la Giunta regionale ha destinato le risorse riservate ai progetti ai sensi della legge regionale 23/99 “Politiche regionali per la famiglia” e della legge regionale 1/08 “Testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso”, a tre linee di intervento ben precise: il rafforzamento delle competenze educative genitoriali, la  creazione  di  reti  di  mutuo  aiuto  volte  a  sostenere  la famiglia  nei  diversi  momenti  di  difficoltà  del  ciclo  di  vita, la  tutela  della  maternità  e  la promozione  della  natalità. Non si tratta di obiettivi generici, ma di scopi da perseguire tramite piani personalizzati di aiuto alle famiglie, e alle coppie, che ne hanno realmente bisogno. Perché ci possono essere difficoltà nell’educazione dei figli, o problemi ad occuparsi dei propri cari più fragili (anziani, persone con disabilità, vittime di dipendenze), oppure ancora situazioni di conflittualità familiare che non si riesce a superare, o anche della necessità di conciliare impegni lavorativi e familiari. Per non parlare delle donne che, per via di difficoltà economiche e sociali, durante la gravidanza pensano di gettare la spugna. Chi può accorgersi di queste persone, di queste famiglie in difficoltà, se non sempre hanno la forza e il coraggio di chiedere aiuto? Non le istituzioni, ovviamente, ma chi sta loro vicino. Così la Regione ha deciso che i 6 milioni di euro stanziati per i progetti individualizzati possano essere gestiti solo dagli enti del Terzo Settore che abbiano maturato un’esperienza di almeno tre anni di attività a supporto delle famiglie, per esempio nella costruzione di reti familiari, nel supporto alle famiglie fragili, nella realizzazione di progetti di aiuto a famiglie con minori in difficoltà.



Si tratta, principalmente, delle cosiddette “associazioni di solidarietà familiare” che in Lombardia sono ben 733, iscritte in un apposito Registro regionale: centri di aiuto alla vita, comitati di genitori, gruppi anziani, e in generale di quel poliedrico mondo associazionistico senza il quale il tessuto sociale difficilmente starebbe in piedi. Il bando sarà pubblicato a breve nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia.

“Il principio che sta alla base di questo provvedimento – ha spiegato l’assessore Boscagli – è quello di spostare l’attenzione dal finanziamento dei servizi e delle strutture alla risposta ai veri bisogni delle famiglie. La conoscenza e la considerazione di questi bisogni determinerà l’effettiva erogazione dei finanziamenti”. Infatti, ogni ente potrà richiedere il contributo per un solo progetto  e per uno solo tra i tre ambiti d’intervento (rafforzamento delle competenze educative genitoriali, creazione  di  reti  di  mutuo  aiuto, tutela  della  maternità  e  promozione  della  natalità) nel territorio dell’Asl dove ha la propria sede operativa. Sarà l’Asl, dunque, a ricevere le domande, valutare i progetti, predisporre le graduatorie e successivamente erogare il finanziamento agli enti. “A tutte le Asl e ai distretti – ha specificato Boscagli – sarà chiesto di elaborare a livello territoriale dei progetti in base ai quali saranno determinate le priorità di intervento con i relativi fondi. Non è dunque la Regione a determinare preventivamente e centralmente la destinazione dei finanziamenti. L’obiettivo di questo provvedimento è dare risposta puntuale alle necessità di ogni singola realtà”.



Leggi anche

WELFARE/ Rovati: la libera scelta dei pazienti conviene anche agli enti virtuosiWELFARE/ Nicola Rossi: lo Stato resti a casa e "impari" dalla LombardiaWELFARE/ Mingardi: solo i privati possono "guarire" l’assistenza e premiare la scelta