Il Quarto Stato deve traslocare dal Museo del ‘ alla sede del Consiglio comunale. La proposta – di questo, ancora, per fortuna, si tratta – di privare i visitatori del capolavoro di Giuseppe Pelizza da Volpedo, e sposata dal sindaco Pisapia, sta alimentando numerose polemiche. Secondo l’assessore alla Cultura, il punto in cui è collocato non lo valorizzerebbe adeguatamente, smorzandone l’energia che promana. Contestualmente Giuseppe Merlini, commercialista di Busto Arsizio, compie un passo che va nella direzione opposta. Merlini possiede circa 300 opere di artisti moderni e contemporanei (Modigliani, Vangi, Wildt, Fontana, Sironi, De Pisis, Severini, Tozzi e Paresce, per citarne alcuni), e, parte della sua collezione sarà esposta, dal 9 settembre al 6 novembre a Palazzo Loredan, a Venezia, nella sede dell’Istituto Veneto. Il suo desiderio è quello di affidarle ad un ente che possa valorizzarle, educando i giovando ad apprezzarle. E così, mentre il pubblico sottrae l’arte ai cittadini, un privato ripara il torto subito. Due episodi che, se messi in relazione, appaiono curiosi. IlSussidiario.net ha chiesto a Giuseppe Frangi cosa ne pensi. «Il Comune, portando il Quarto Stato nel Museo del ‘900 ha investito ingenti risorse, effettuando un’operazione che ha avuto un’eco significativa. La scelta di fare marcia indietro, perché dopo l’iniziale successo si sono verificate alcune difficoltà, mi sembra una scelta irragionevole». Non solo: «smantellare una realizzazione per la quale, fino a sei mesi fa, si è profuso grandissimo impegno, rappresenta una gestione schizofrenica». Se il Comune continuerò a mantenere un simile atteggiamento, a un signore come Giuseppe Merlini «non passerà mai per la testa di donagli le proprie opere». Del resto, «in molti anni il capoluogo lombardo ha perso tantissime collezioni d’arte, come quella di Giovanardi, finita al Mart di Rovereto. Si tratta della più bella collezione di Morandi che esiste Italia». Milano ha un numero altissimo di collezionisti di arte moderna che, «una volta divenuti anziani si pongono il problema di cosa fare delle opere che possiedono: venderle, lasciarle in eredità a dei figli che, magari, non sono in grado di apprezzarle, o regalarle alla città?».
Quest’ultima ipotesi non è certo la più scontata. «Perché un privato decida di lasciare ad un’amministrazione il proprio tesoro, è necessario che con essa si instauri un rapporto di fiducia». Spesso, purtroppo, «scelgono di affidarle ad un museo di provincia. Che, forse, non sarà all’altezza di quello della grande città. Ma, quantomeno, le opere che gli sono state elargite le espone al pubblico invece che lasciarle in cantina». Una tale conduzione dipende dal fatto che, «in questo campo il Comune, da almeno 20-25 anni, è privo di una visione a lunga gittata. Un museo, infatti, non si costruisce in una legislatura».