“Pisapia in quanto primo cittadino avrebbe il compito di unire Milano, la cui capacità di spesa è stata falcidiata da tutti i governi che si sono succeduti a livello nazionale. Finora invece si è scatenata solo una lite da cortile, sul presunto taroccamento dei conti pubblici da parte della Moratti”. Lo afferma Gabriele Albertini, presidente della commissione Esteri del Parlamento Ue ed ex sindaco di Milano, a proposito del dibattito in corso a Milano sul presunto buco di bilancio e sulla deroga al patto di stabilità. Tre le proposte di Albertini: consentire ai Comuni virtuosi come Milano di spendere di più, permettere lo sforamento del patto di stabilità per le opere pubbliche come le metrò 4 e 5 e tagliare in modo deciso i finanziamenti pubblici ai partiti.



Partiamo dall’accusa mossa da Pisapia alla Moratti, quella cioè di avere taroccato i conti. Lei che cosa ne pensa?

Definire un bilancio taroccato, dopo che è stato aprovato dal Consiglio comunale e dal collegio sindacale, mi sembra solo un’espressione gergale della politica che non ha nulla a che fare con la contabilità. L’ex sindaco Moratti ha spiegato nel modo migliore che l’avanzo di 48 milioni previsto fino alla fine del 2011 comprendeva tre provvedimenti che non sono stati adottati da Pisapia. In primo luogo, l’entrata in vigore del Pgt la cui cancellazione ha fatto perdere entrate da 50 a 70 milioni di euro solo nel 2011. Una vera picconata all’interno del “buco” fatta dalla stessa giunta Pisapia. A questo si aggiunge la mancata privatizzazione di Sea e la vendita del 18% di Serravalle che è ancora avvenuto. Affermare quindi che il bilancio è taroccato è fuorviante.



Ma invece di scambiarsi queste accuse, non sarebbe meglio se a Milano maggioranza e opposizione si unissero sul fatto che la città è sempre stata penalizzata da Roma?

Questo è un bell’argomento, che mi piacerebbe non solo enunciare ma anche che fosse praticato. Purtroppo si fa una battaglia faziosa e da cortile, criticandosi a vicenda, mentre sarebbe più appropriato convergere, come si è riusciti a fare per gli accordi con Bie sull’Expo. Ma quello di unire e includere invece di dividere è un compito che spetta soprattutto al sindaco Pisapia. E’ lui infatti il primo cittadino e il principale protagonista del governo urbano. Essendo stato eletto direttamente dai cittadini e non dal Consiglio comunale, ha una capacità di autonomia dai partiti che è maggiore di quella dei singoli consiglieri.



Quali sono le sue proposte per risolvere il problema del patto di stabilità?

Una la formulai nel 1998 a Carlo Azeglio Ciampi quando era ministro del Tesoro. La mia idea era un emendamento al patto di stabilità, in base al quale i Comuni virtuosi, quelli cioè che avevano i bilanci in ordine, un indebitamento non eccessivo, un rapporto equilibrato tra entrate e spese correnti, avevano la facoltà di spendere di più dei Comuni indebitati e con i conti al collasso. E dal punto di vista della solidità economica il nostro Comune è uno dei migliori. Inoltre occorre distinguere tra spesa corrente e investimenti. Sulla prima si può capire che ci sia un vincolo, in quanto la spesa corrente finisce nella migliore delle ipotesi in servizi e non in beni tangibili. Ma se un Comune spende per fare una metropolitana o un teatro, per la manutenzione di una scuola o per un parco, il patrimonio in questo caso non è disperso ma trasformato. Milano quindi deve avere o maggiori margini finanziari o la libertà di uscire dal patto di stabilità per quanto riguarda le spese per i beni tangibili. Mentre la spesa corrente relativa a Expo deve essere finanziato dallo Stato.

 

Pisapia ha alzato le tasse perché punta a incrementare le spese?

 

Pisapia non ha né entrate né progetti di privatizzazione, non credo quindi che voglia aumentare le spese comunali, anche perché non ha le risorse per farlo. Probabilmente punterà a riqualificarle in una logica diversa, cercando di dare più fondi ai meno abbienti e riducendo quelli per lo sviluppo. Anche se dubito che riuscirà a finanziare i suoi progetti più ambiziosi.

 

E’ un fatto però che Pisapia ha provato a vendere le quote di Serravalle per far quadrare i conti, ma non ha trovato un acquirente…

Intanto aspettiamo il 15 settembre, quando scadrà l’asta. Se il primo tentativo di vendita non dovesse riuscire, è possibile fare una seconda operazione, con un prezzo più basso. E’ vero che per le quotazioni in Borsa non è il momento migliore, però il settore delle autostrade opera quasi in monopolio e non ha la concorrenza di altri settori.

 

In queste settimane si dibatte tanto sui costi della politica. Lei come affronterebbe il problema?

 

I Comuni sono stati falcidiati nella loro capacità di spesa. Ma c’è un capitolo dei cosiddetti costi della politica che non è stato neanche citato dai nostri governanti, come se fosse un dogma: mi riferisco ai costi dei partiti. Si è pensato ad accorpare i Comuni, cancellare le Province, diminuire il numero dei deputati, ma dei costi dei sistemi dei partiti e dei giornali di partito non si è mai discusso. E questo nonostante alcuni anni fa sia stato approvato un referendum per la cancellazione dei finanziamenti pubblici ai partiti. Poi si è cambiato nome, e sono stati reinseriti sotto forma di rimborsi elettorali. Il sistema dei partiti comporta un costo che per i bilanci pubblici è colossale, ma nessuno vuole tagliarlo. E’ vero che i partiti sono considerati strumenti della democrazia, ma un eccesso di mezzi a disposizione delle parti non può che incrementare enormemente la faziosità del sistema, con l’effetto che ciascuno investe soltanto sul suo schieramento. In Italia il sistema dei partiti ha un costo di alcuni miliardi di euro l’anno, su una manovra che vale 45 miliardi. Nella manovra quindi deve essere inserito un taglio di queste spese, magari facendo risparmiare qualcosa ai Comuni virtuosi come Milano.

 

(Pietro Vernizzi)