«Ci sono persone davvero importanti per il teatro che il grande pubblico però non conosce. Sono quelli che dedicano completamente la loro vita a qualcuno e a qualcosa d’altro». Andrée Ruth Shammah, anima del Teatro Parenti di Milano, ricorda con queste parole Emanuele Banterle, morto ieri mattina a causa di una grave malattia. «L’ho conosciuto quando faceva l’assistente alla regia di Giovanni Testori – racconta la Shammah a IlSussidiario.net –, con il quale fondò la compagnia Teatro de Gli Incamminati. In realtà non avrebbe avuto bisogno di fare l’assistente a nessuno, perché aveva idee precise, ma non gli pesava affatto. La sua discrezione lo ha sempre sottratto alle grandi luci. Una purezza che però non gli ha impedito di ottenere grandi successi». Che esperienza era lavorare con lui? «Straordinaria. Leggeva i testi, faceva le proposte, seguiva la preparazione, dava il suo parere sullo spettacolo, lo vendeva all’esterno, proteggeva gli artisti, curava organizzazioni complesse nei minimi dettagli. Un modo unico e nobile di amare e di avere un interesse. Ci siamo incontrati, io ebrea e lui cattolico, proprio sul valore del gesto e del lavoro». Ma cosa significa oggi dedicare tutta la vita al teatro? «Il teatro è un atto d’amore sproporzionato come quello di una mamma per il proprio figlio. Non si regge sul do ut des, non si ama per avere indietro. Basta pensare a un regista che crede in ciò che fa. Potrebbe spendere mesi interi in qualcosa che dopo poco potrebbe sparire e non esistere più. Questa è l’unicità del teatro e Banterle l’ha insegnata a tutti con la sua vita. Non ho conosciuto altre persone come lui, per questo dico che gli va reso omaggio. La sua presenza su questa terra deve lasciare un segno». Cosa intende dire? «Rimarrà un grande vuoto, non solo dentro me, che ho perso un grande amico. Rimarrà un vuoto nel mondo. Tutti devono sapere che è morta una grande persona».



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