A pane e acqua o poco più. E’ la punizione che una scuola elementare di Cesate, nell’hinterland milanese, ha ideato per quei genitori che non hanno pagato ancora la mensa scolastica. A scontarla concretamente, però, sono i loro figli. I quali, mentre i compagni di classe consumano il pasto normale, sono costretti a sfamarsi con pane, formaggio e un succo di frutta. «Non capisco come non si sia riusciti a trovare una strada alternativa ad una misura del genere; esistono, infatti, strumenti migliori e più adeguati del “semidigiuno”», afferma, dice a ilSussidiario.net Roberto Pellegatta, dirigente scolastico e presidente dell’associazione DiSAL. Il paese, di 14mila anime, è retto da una giunta del Pd.



Il sindaco, Roberto Della Rovere, ha spiegato che il problema delle rette non pagate ebbe inizio l’anno scorso. Quando l’insolvenza di 300 famiglie contribuì a formare un buco di 70mila euro. La maggior parte dei crediti venne recuperata. Salvo che per una trentina di famiglie che ha continuato a non pagare, con le quali si è deciso di adottare la linea dura. Un gesto che non poteva non suscitare polemiche e sortire conseguenze. Sonia Coloru, maestra elementare e consigliere d’opposizione della lista Sinistra per Cesate, ha definito l’atto «discriminatorio», e annunciato un’interrogazione che sarà discussa il 27. Il sindaco si difende sottolineando come i bambini non vengano lasciati a digiuno, ma sia servito loro, egualmente, il ”pasto alternativo”. E precisa che le famiglie in questione non hanno voluto pagare nonostante se lo sarebbero potuto permettere, essendo inserite nelle fasce reddituali più alte.



Anche secondo Pellegatta andrebbe compreso, anzitutto, «se chi non paga non lo fa perché non può o perché non vuole. Io sono preside di un istituto professionale che, come tutti gli altri istituti superiori, chiede alle famiglie un contributo annuale per tutte le attività. Mediamente, il 15 per cento di famiglie non versa il contributo e per mesi vanno rincorse». Ammessa e non concessa la situazione di indigenza, in ogni caso, «le famiglie possono fare domanda, con la Regione Lombardia, per ottenere la Dote scuola che coprirebbe la spesa. Di norma questi genitori non vanno a far la domanda, non ottengono il finanziamento e non versano il contributo».



Anche il Comune, in genere, ci mette del suo. «Per chi non è in grado di pagare – continua – spesso sono previste forme di sostegno. Se sussiste un disagio reale le amministrazioni hanno il compito di utilizzare diversi strumenti, come le convenzioni, per fare fronte a queste situazioni». Detto questo, non significa certo che la misura adottata dall’amministrazione sia giusta. «E’ ovvio che non far mangiare i bambini o limitare i loro pasti significa far ricadere sui figli le colpe dei genitori». Le strade da percorrere erano ben altre.  «Non far mangiare un bambino è assurdo, una qualche modalità con la quale mettere i genitori di fronte alle proprie responsabilità si poteva trovare senza ricorrere a questo provvedimento. Sarebbe stato più intelligente se il Comune, d’intesa con la scuola, avesse fatto ricorso allo strumento normativo, ovvero la denuncia. Se, infatti, c’è una disposizione comunale che impone un certo comportamento, la denuncia mi sembra la via privilegiata per farla rispettare».