Un uomo importante, un interlocutore importante per tutti è arrivato oggi a Milano. Dopo tanti discorsi fatti spesso sulla base dei puri pregiudizi, senza nulla sapere di lui, adesso è qui, è arrivato. Lo stile è l’uomo, e l’uomo si è presentato con tutta la forza della sua fede, con il suo pensiero profondo e articolato, e soprattutto – lo dico da milanese, da tifoso di questa città – con un’idea ben chiara, fondata e concreta di cosa sia Milano.



Perfino nei commoventi saluti alla fine della celebrazione non rinuncia a mostrare il suo pensiero. Ricorda la Milano della sua gioventù, i capannelli serali in piazza Duomo, dove si parlava di tutto, e intrufolandosi dall’uno all’altro si entrava subito in medias res, senza troppi preamboli. 

E parla di “democrazia (…) dal basso”, che “si sviluppa nel confronto e nello scambio. Veramente l’io è sempre in relazione, e dalla relazione cava il sorprendente alimento per la sua crescita. Ora i tempi sono diversi, ma il valore di questo stile democratico rimane inalterato”. 



Mi ha fatto piacere vedere l’abbraccio tra il nuovo Arcivescovo e il Sindaco di Milano, avv. Pisapia. Pisapia avrà così potuto valutare il peso umano e intellettuale del suo nuovo interlocutore, e soprattutto avrà potuto farsi un’idea del significato di quella folla enorme, che ha stipato il Duomo, tutta la piazza e alcune vie adiacenti. 

Cosa voleva, tutta quella gente? Le parrocchie, la cui capacità di mobilitazione appare di solito ridotta, hanno mosso questa volta un numero di persone impressionante. Ma le raccomandazioni dei parroci bastano a spiegare il numero? Secondo me no. 



Quella folla rappresentava una domanda nuova, di cui è necessario che i politici tengano conto. Dopo decenni in cui si è fatto credere all’Italia che la salvezza potesse venire dalla politica, oggi gli occhi si sono aperti: di quell’illusione restano soltanto i danni, a Milano come a Roma, dove la politica mostra la sua paralisi rispetto al paese.

Oggi più che mai sono necessari uomini autorevoli, capaci di indicare un possibile cammino, una possibile forma di convivenza in un momento in cui sembrano andare in crisi concetti quali “identità”, “cittadinanza”, “lavoro”, “educazione”, e dove perfino l’idea della morte, che san Francesco chiama “sorella”, viene ridotta a una caricatura dai sogni di chi promette (a chi potrà permetterselo) l’immortalità.  

Ero ancora in chiesa quando sono stato raggiunto da questo sms: “Entrato in città con il tono giusto. Potente e profondo. Bene”. Me l’ha inviato l’assessore alla Cultura, Stefano Boeri. Il messaggio mi dà molta speranza. Il modello di democrazia che Scola rievoca come consustanziale a Milano potrà offrire ottima materia di riflessione per chi governa la città. 

Non riesco a immaginare nessuno strappo tra Scola e Tettamanzi, suo predecessore ma soprattutto suo caro amico. La linea sarà la stessa, quel che cambia è solo il carattere degli uomini. 

Chiunque, a diverso titolo, sia implicato nel governo della città in questo difficile momento, troverà nel nuovo Arcivescovo una sponda sicura e potente. L’importante è non cedere alla logica della cricca: con Angelo Scola, figlio spirituale di uomini di genio (Giussani, Balthasar, Ratzinger), non si fanno cricche, né a sinistra né a destra. Ma si può ricostruire la città, e dalla città il paese intero. 

Questo, la gente sta cominciando a capirlo. E’ con gli uomini, non con le formule, che si può ricominciare a costruire, in pace.