L’apertura alla coppie di fatto era implicita nelle premesse, nella sua storia personale, come politico e uomo, e nella cultura di gran parte dei partiti che lo hanno sostenuto; ora Pisapia l’ha resa esplicita. Durante il suo intervento al Palasharp, per la Festa del Pd, ha rivelato le sue intenzioni: al più preso sarà istituito il registro per le coppie di fatto. Benché «le priorità, per Milano, sono bene altre; si tratta di una bandiera ideologia, non di una reale necessità», commenta, raggiunta da ilSussidiario.net la senatrice Emanuela Baio. Necessità o meno, il sindaco sul tema è agguerrito. Intende accelerare, ne parlerà anche al Papa. Ha detto proprio così. Quando il Pontefice verrà a Milano, a giugno, per l’incontro mondiale della famiglia, il delfino di Nichi Vendola cercherà di convincerlo che la via da seguire è il suo modello familiare, la «famiglia come la intendiamo noi». In sostanza: «se c’è una convivenza solidaristico affettiva tra persone che hanno scelto per necessità o per volontà di non sposarsi – si è chiesto -, perché non dobbiamo riconoscerli?». Un buon amministratore, ha concluso, ha il dover di non accettare «discriminazion di nessun tipo». Ovvio. Su quest’ultimo punto si è tutti d’accordo: «E’ compito di amministratori e politici lavorare perché, all’interno delle coppie non sposate, siano rimosse tutte le forme di discriminazione, anche le più piccole, subdole o nascoste,  e le condizioni che le determinano», dice la senatrice. «Ad esempio, se due persone convivono, e una delle due si trova in ospedale, l’altra ha l’evidente diritto di conoscerne la condizione clinica. Sappiamo benissimo però che, spesso, vengono frapposti degli ostacoli. Nonostante la legge non ponga alcun divieto in tal senso». Detto questo, «dal superamento di tali forme discriminatorie, non può conseguirne in nessun modo l’equiparazione della convivenza alla famiglia. Il sindaco di Milano è un fine giurista, e lo sa molto bene». Accostare  e parificare le due forme di vita in comune pone dei problemi sul piano del diritto e della convivenza civile. «In particolare, sono due i diritti che, in genere, le coppie di fatto chiedono: il diritto di successione e la reversibilità a fini pensionistici e assistenziali».



Ma la questione va inscritta in un ragionamento più alto: «due persone che si sposano – spiega la Baio -, stipulano un patto di fronte alla società impegnandosi ad assumersi tutte le responsabilità che la loro convivenza comporta. Due persone che, invece, scelgono di convivere – per le ragioni più disparate e legittime – si trovano al di fuori di un tale contratto, non hanno obblighi reciproci o nei confronti della comunità. In questo caso, quindi, la legge non può fare un’eccezione, conferendo loro quelle prerogative che spettano solo alla condizione del matrimonio». Nel momento in cui si dovessero riconoscere ai conviventi il diritto successorio e di reversibilità, «si aprirebbero conflitti e problemi che graverebbero su tutta la popolazione. Ad esempio, le casse dell’Inps dovrebbero pagare la pensione sia alla vedova che alla convivente il cui partner è deceduto». Se due persone vogliono l’attribuzione di tali diritti, devono, in sostanza, sancire la loro unione con un patto che suggelli i relativi doveri. «Di norma, in tutti gli Stati, tale patto si chiama matrimonio. Del resto, la convivenza, rappresenta pur sempre una non-scelta. Perché lo Stato o il Comune dovrebbero scegliere al posto della coppia che convive, invadendo la loro vita privata e imponendo loro doveri e responsabilità che hanno deciso di non avere?» Il problema è alla radice: «Moltissimi giovani, spesso, convivono prima del matrimonio. Tale scelta, di norma, è determinata da due ragioni: insicurezza e difficoltà economiche. Il compito della politica, quindi,  è quello di rimuovere le ragioni che obbligano alla convivenza forzata, ostacolando la realizzazione del desiderio di sposarsi; il vero diritto, in tal senso, consiste nel trovarsi nella condizione di poter scegliere liberamente, senza essere determinati da criticità contingenti».  



 

(Paolo Nessi)

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