Chi non ha nutrito, almeno una volta nella vita, un profondo sentimento di rivalsa o vendetta nei confronti delle Ferrovie dello Stato o di altre aziende di trasporti? Treni in ritardo, cancellati,  sporchi e senza posti, nonostante la prenotazione in mano. «Tutto ciò è il segno di uno stato di cose i cui effetti negativi vanno bene al di là della penalizzazione del consumatore, lascia intendere che qualcosa non funziona nella stessa società», commenta il presidente del Codacons, Marco Donzelli, interpellato da ilSussidiario.net. In ogni caso, ogni tanto, di rado, qualcuno non deve rassegnarsi alla frustrazione e ad ingoiare il rospo, e riceve soddisfazione dalla legge. E’ il caso della pendolare che, per settimane, ha dovuto viaggiare nella tratta San Zenone al Lambro – Milano-Rogoredo in condizioni «gravemente umilianti». Il giudice di Pace ha obbligato l’azienda ha risarcirle, perlomeno, il costo dell’abbonamento annuale, pari a 500 euro. L’episodio, anche se non è il primo del suo genere, potrebbe rappresentare un precedente. Disagi al limite del paradosso che, a questo punto, sempre più viaggiatori potrebbero decidere di non subire in silenzio e tentare la via giudiziaria. Non a caso, qualcuno discute l’ipotesi di class action – un azione legale collettiva – contro le Ferrovie. Vedremo. Intanto, sul fatto che il giudice abbia agito correttamente, Donzelli si mostra senza dubbi: «E’ un dato ormai conclamato. Le responsabilità dell’azienda che gestisce i trasporti per conto dello Stato erano ovvie. La vicenda è chiara. Il contratto non è stato rispettato e non vi è alcuna clausola di salvaguardia a favore di alcuno». E’ più scettico, invece, sul fatto che, dalla sentenza, ne possa discendere una class action. «Così come è stata concepita in Italia,  rappresenta uno strumento piuttosto arduo da porre in essere. E’ tortuoso, limitativo, come se chi lo ha ideato abbia voluto scoraggiarne l’utilizzo». In ogni caso, il presidente del Codacons ritiene opportuno un ragionamento più delicato. «Bene la sentenza. Ma lo strumento della tutela giurisdizionale dovrebbe essere impiegato solo come extrema ratio. Perché, in un Paese efficiente, dove le regole vengono rispettate non ci sarebbe bisogno di ricorrervi. Dovrebbe essere l’azienda a mettere in atto un sistema per cui al ritardo consegue un risarcimento».



Ovviamente, la questione non riguarda solamente i treni. «Come associazione dei consumatori è nostro compito, per esempio, mettere insieme delle persone per intentare delle “cause pilota” o, quando se ne ha la possibilità, delle class action. Lo strumento di tutela completa, tuttavia, non si esaurisce nella possibilità di ricevere soddisfazione in tribunale; consiste nel fatto che lo stato recepisca, nelle sue leggi, un sistema di regolamentazione  in cui si renda impossibile un simile degrado». Non è, quindi, un problema di risarcimento dei consumatori. «Il concetto stesso di consumatore – dice – deve essere espanso. Da vicende come queste non è solo lui, infatti, a subire un danno, ma l’intero Stato. Se i treni o i mezzi pubblici arrivano in ritardo, se le autostrade vanno a rilento o la pubblica amministrazione è inefficiente,  ad essere penalizzate, ad esempio, sono anche le imprese. Con ricadute negative sulla capacità di concorrenza del nostro Paese nel confronto degli altri.



 

 

 

 

In sostanza: «se un consumatore ottiene giustizia da una sentenza, è una cosa buona. Sarebbe cosa migliore che la società funzionasse per far stare l’Italia al passo con le altre Nazioni». Dietro alla difesa di alcuni diritti ci sta, quindi, il tentativo di comunicare una certa visione della società. «Bisogna fare comprendere che continuando a consentire una certa modalità di agire, quella dell’inadempimento e del mancato rispetto delle regole, tutto il Paese ne subisce le conseguenze». Al contempo, gli stessi consumatori dovrebbe iniziare a ragionare diversamente. «E’ necessario uscire da una sorta di vittimismo»;. L’esempio è chiaro:  «tutti gli anni, a inizio anno scolastico, si ripropone il problema del caro-libri. I genitori non si possono limitare a lamentarsi; diventino protagonisti della vita della scuola dei loro figli, vadano alle riunioni, creino dei gruppi  d’acquisto, si mettano insieme per fare pressione sui presidi. In questo modo si esce dall’ottica del mero consumatore per entrare in quella della società civile che impara a crescere».



 

(Paolo Nessi)