La Cisl Lombardia ha diffuso ieri un documento che snocciola i dati di una crisi conosciuta, ma che letta dal punto dei numeri impressiona ancora di più. Secondo il rapporto, infatti, nel 2011 sono stati licenziati in Lombardia 53.500 lavoratori: il doppio dei licenziamenti precedenti la crisi. Dal 2008 a oggi, inoltre, si sono persi 185mila posti di lavoro. Torna poi ad aumentare (nell’ultimo trimestre dell’anno) il ricorso alla cassa integrazione ordinaria, salito del 29,2%. Dei 185mila posti di lavoro persi dal 2008 a oggi, infine, due terzi delle persone coinvolte non hanno diritto all’indennità di mobilità. A proposito di questi dati, Gigi Petteni, segretario di Cisl Lombardia, contattato da IlSussidiario.net, spiega come essi fotografano i risultati pesanti della crisi in atto: «È necessario che i temi del lavoro, della crescita e degli investimenti diventino centrali, non solo in Lombardia, ma a livello nazionale. Noi della Cisl sottolineiamo come la risposta più importante da dare a chi perde il posto di lavoro sia una soltanto: un nuovo posto di lavoro».
I dati che avete diffuso non sono incoraggianti.
Sono la fotografia che mostra i risultati pesanti di questa crisi. Penso però che siano necessarie due osservazioni per comprenderli meglio.
Ci dica.
La prima osservazione è che dopo il forte miglioramento della cassa integrazione che si era registrato nel corso dell’ultimo anno, una riduzione del ricorso a questo strumento pari al 32,9% rispetto al 2010, l’ultimo trimestre del 2011 ha visto un frenarsi di questo miglioramento. La speranza allora è che questo dato non sia il preludio a un peggioramento futuro della situazione.
C’è un rischio reale che il ricorso alla cassa integrazione segua il trend di questo ultimo trimestre del 2011?
È chiaro che i temi della crescita, del lavoro, del sostegno alle imprese sono fondamentali e urgono interventi in questa direzione, altrimenti il rischio è davvero che si torni a perdere altri posti di lavoro.
La seconda osservazione in merito ai vostri dati?
Parliamo del numero di posti di lavoro persi. Tale cifra ci deve far dire che la scelta delle politiche attive, cioè quelle che cercano di dare una risposta non lasciando soli i lavoratori che hanno perso il posto, sia la strada da perseguire. È peraltro quanto abbiamo cercato di fare nelle ultime settimane in Regione Lombardia. Aggiungerei che dal confronto anche su scala nazionale debbano venire fuori delle proposte che possano aiutare a dare delle risposte. Anche se noi come Cisl pensiamo che la risposta più importante è quella del lavoro.
In che senso?
A chi perde il posto di lavoro va bene un po’ di sussidio, va bene quel po’ di assistenza e di mobilità che si possono dare, però il posto di lavoro perso a nostro giudizio dovrebbe essere sostituito con un altro posto di lavoro.
Un obbiettivo non facile. Come raggiungerlo?
Bisogna mettere al centro del dibattito il tema della crescita, dell’attrattività del territorio, degli investimenti. Va bene difenderci da un lato dalla crisi con sistemi di contenimento, ma dall’altro è necessario rendere concreto e applicabile tutto quello che è possibile fare per dare risposte in termini di occupazione e di lavoro.
Lei pensa che la Regione, intesa come organo amministrativo, in questa situazione di crisi sia in grado di sostenere questo approccio?
Dal punto di vista delle politiche del lavoro credo che in Lombardia stiamo facendo degli sforzi enormi. Stiamo facendo cambiamenti importanti e ogni anno negli accordi si migliora, penso ad esempio all’accordo sugli ammortizzatori sociali siglato nel 2011 che ha visto un miglioramento delle condizioni. Un accordo costruito sull’esperienza che stiamo facendo sul campo. Giudico poi positivamente la scelta delle politiche attive del lavoro, di cercare cioè di prendersi carico del lavoratore che perde il posto di lavoro, per aiutarlo a riaccompagnarlo in un nuovo inserimento professionale.
Dunque il rapporto con chi amministra è un rapporto proficuo?
Da questo punto di vista riteniamo che con la Regione e con le parti sociali sia stato fatto un buon lavoro. Abbiamo ratificato anche degli accordi importanti nell’ultimo anno. È chiaro che il tema più delicato e complesso è quello di intervenire sulla crescita e che questo venga fatto su molti punti e fattori diversi.
Quali, per l’esattezza?
Penso, ad esempio, a politiche fiscali che possano incentivare e migliorare le condizioni lavorative, che possano rendere gli investimenti più produttivi e fiscalmente più sostenibili. Serve una concertazione a livello nazionale, ma servono anche delle scelte nei territori. Ci vuole un sistema di infrastrutture, uno di attrattività del territorio e uno di sostegno dei settori strategici per il futuro.
Dunque azioni locali, non solo generali.
Certamente: ci auguriamo che ognuno faccia la sua parte per mettere in atto tali strumenti.
Quale è il settore più colpito dalla crisi, in Lombardia?
Sicuramente quello manifatturiero: la crisi va tutta in quella direzione. Poi, è chiaro, in modo indotto, se quello è il settore più colpito ciò si ripercuote anche sul terziario e poi sui servizi. La Lombardia è un pezzo forte del settore manifatturiero ed è dove sta pagando un prezzo molto alto.
È possibile inquadrare un punto su cui intendete muovervi come primo obbiettivo?
Auspico che nell’agenda politica sia nazionale che regionale il tema del lavoro e dello sviluppo siano la priorità dell’azione. Se mettiamo questi temi al centro e attorno a questi propositi mettiamo in campo una azione di sinergia e di concertazione di tutti i soggetti credo che si possa fare qualcosa di più. Che si debba fare per incamminarsi in una situazione di un percorso che non sarà facile, ma è necessario per il bene di tutti.