Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, parlando al programma televisivo “Che tempo che fa” torna sull’argomento delle coppie di fatto, argomento ampiamente usato durante la sua campagna elettorale per l’elezione a primo cittadino milanese. E proprio per mantenere fede alle promesse fatte, annuncia l’apertura del registro delle unioni di fatto entro la fine del 2012: “Manterrò l’impegno” ha detto “e ne sono orgoglioso”. Secondo il professor Francesco D’Agostino, interpellato da IlSussidiario.net, si tratta di un annuncio che non va letto per quelle che sono le competenze amministrative di un comune, ma va letto per quel che riguarda il problema politico nazionale del riconoscimento giuridico delle convivenze. “I comuni infatti non hanno alcuna competenza per quello che riguarda il diritto di famiglia e per quello che riguarda i diritti di convivenza” spiega D’Agostino “quello di Pisapia è un gesto simbolico, ma ampiamente ambiguo”. Un discorso, quello delle convivenze, “che è un problema oggettivo, partendo dal quale si arriva a manipolare o comunque ad alterare in modo molto forte le dinamiche generazionali che sono proprie del genere umano. Non basta un sindaco che apra un registro: è un problema antropologicamente così grande che ci vuole una discussione ampia e diffusa che duri tutto il tempo che ci vuole”.



Professore, Pisapia annuncia l’intenzione di aprire il registro delle unioni di fatto nella città di Milano.

Registrare le convivenze è un fatto di per sé statistico e demografico che viene già praticato da anni, gli statistici registrano da tempo il flusso verso l’alto o verso il basso delle convivenze di fatto. E’ chiaro che non credo che a Pisapia interessi appoggiare ulteriori indagini statistiche che già vengono fatte adeguatamente. Pisapia vuole attraverso questo registro mandare un messaggio politico al Parlamento dato che l’unico modo per dare rilievo giuridico alle coppie di fatto è quello di modificare il codice civile e introdurre nel nostro ordinamento una legge esattamente calibrata su questo punto.



Un gesto puramente simbolico e politicamente schierato?

I comuni non hanno nessuna competenza per quello che riguarda il diritto di famiglia e per quello che riguarda i diritti di convivenza, quindi chiaramente questo annuncio non va letto per quelle che sono le competenze amministrative di un comune, va letto per quel che riguarda il problema politico nazionale del riconoscimento giuridico delle convivenze. E’ sì un gesto simbolico, ma enormemente ambiguo.

Perché ambiguo?

Perché quando si parla di convivenze si parla di un fenomeno molto complesso che può riguardare convivenze sessuate e convivenze non sessuate. Ad esempio, possono esserci numerose ipotesi di fratello e sorella magari in tarda età che convivono e che avrebbero interesse a una normativa che regoli la loro convivenza, ma ovviamente qui non si parla di un matrimonio di fatto, si parla di una convivenza di fatto, di una convivenza non sessuata.



Oltre a questi casi?

Oltre a questi, si parla di convivenze di fatto per quelle che una volta venivano definite convivenze more uxorio, o che nel linguaggio giuridico romano erano chiamate concubinato, oppure si può parlare di convivenze di fatto in maniera molto obliqua per alludere alle convivenze omosessuali.

Differenti aspetti dunque.

Infatti: queste tre dimensioni andrebbero esplicitate, messe chiaramente in evidenza, se questo non viene fatto è un contributo portato alla confusione e direi anche alla mistificazione dei concreti termini del problema. Faccio un altro esempio: nel discorso delle convivenze di fatto possono entrare le convivenze islamiche poligamiche che è un fenomeno reale di cui tener conto. Per questo bisogna pensare a una legge, mentre queste iniziative locali sono irrilevanti dal punto di vista normativo.

In Italia che quadro si potrebbe prospettare, ad esempio quello legislativo spagnolo?

Il modello spagnolo molto difficilmente potrebbe essere adottato in Italia. Nel modello spagnolo non si è mai emanata una legge sulle convivenze di fatto. Si è direttamente aperto il matrimonio ai gay e in questo modo si è tagliato le gambe ad ogni ulteriore rivendicazione ideologica per le convivenze, dato che i movimenti gay sono i più attivi nel chiedere un riconoscimento giuridico delle loro convivenze e questo dovrebbe far riflettere ampiamente.

In che senso?

Bisogna essere molto chiari su questo argomento: a me quello che interessa più di tutto è che l’opinione pubblica prenda consapevolezza, cosa che è lontanissima dal fare, di quello di cui ho fatto cenno prima. Esiste cioè un oggettivo problema di regolamentazione di convivenze non sessuate, che possono avere diversa natura come fratello e sorella, genitori separati e figli, e altre ipotesi ancora per i quali ci sono ragioni sociali per un trattamento di favore da parte della legge.

Invece?

Invece il voler restringere il dibattito a convivenze sessuate dimostra palesemente il carattere ideologico invece che sociale di chi chiede un riconoscimento alle unioni di fatto. Se si prende la legge francese sui Pacs, è una legge esemplare non nel senso dei valori che esprime, ma per come è concepita dal punto di vista legislativo.

Cosa dice la legge francese?

Che non si può stipulare un patto civile di convivenza tra persone che non potrebbero stipulare matrimonio tra di loro.

Cosa vuol dire?

Che in Francia un fratello e una sorella anche se convivono non possono firmare un Pacs, il Pacs è riservato a conviventi sessuati per dare una valenza simbolica positiva alla loro convivenza non matrimoniale. Mi piacerebbe molto che l’opinione pubblica riflettesse su questo punto: tutte le ragioni sociali, non simboliche ma sociali che vengono portate a favore della legalizzazione delle convivenza andrebbero avanzate anche a favore delle convivenze non sessuate. Se queste vengono tagliate fuori da questi progetti ne viene fuori che questi progetti non hanno né un carattere né una finalità sociale ma solo un carattere ideologico. E allora se si deve fare una battaglia ideologica che la si faccia apertamente senza fare tiepidismi sociali come sempre si sente ripetere.

Cosa intende esattamente per battaglia ideologica?

Ci sono conviventi che potrebbero sposarsi, ma non vogliono farlo, vogliono il Pacs. E ci sono conviventi che non potrebbero sposarsi per legge ad esempio i gay, e alla mancanza di matrimonio chiedono il Pacs. Il problema ideologico interessante è quello della prima categoria, quella di quei conviventi che pur potendosi sposare rifiutano il matrimonio, ma chiedono ad alta voce il patto civile di convivenza. Questa ipotesi è interessante perché significa rifiutare gli oneri e i doveri del matrimonio, ma chiedere vantaggi sociali che potrebbero ricollegarsi ai Pacs. Sono forme di parassitismo sociale. Questo andrebbe detto a chiare lettere.

Le convivenze fra omosessuali invece?

Riguardo alle  coppie omosessuali c’è da discutere con molta onestà intellettuale. E cioè per quale ragione il matrimonio deve avere una tutela giuridica. Se, come avviene da millenni, l’unica ragione giuridica del matrimonio consiste nel garantire la procreazione, l’ordine delle generazioni e la costruzione di una famiglia, non c’è ragione perché questo possa essere realizzato per una coppia di fatto sterile come quella omosessuale.

Che però chiedono di poter avere dei figli.

Alcuni intellettuali omosessuali sono talmente convinti di quanto richiedono che per superare questa difficoltà chiedono di poter adottare figli come coppie omosessuali o chiedono attraverso la fecondazione artificiale di poter procreare dei figli legalmente ascrivibili a loro. Allora si vede che partendo dal discorso delle convivenze si arriva a manipolare o comunque ad alterare in modo molto forte le dinamiche generazionali che sono proprie del genere umano. Non basta un sindaco che apra un registro, è un problema antropologicamente così grande che ci vuole una discussione ampia e diffusa che duri tutto il tempo che ci vuole.