I dati resi pubblici da una indagine promossa da Spi Cgil e Fp Cgil denunciano liste di attesa molto lunghe, anche mesi, per ottenere la possibilità di accedere a strutture residenziali per anziani. Se l’anziano non è autosufficiente, tale attese aumentano, arrivando a punte massime come nel caso del Lazio di anche undici mesi. Minore l’attesa per gli anziani autonomi. Resta comunque un ricorso alla casa di riposo, o alle residenze per anziani come si dice oggi, massiccio, con un totale di circa 5mila tra strutture pubbliche, private, residenzialie e semiresidenziali sparse per tutta la penisola.  Secondo Nicola D’Aquaro, presidente di A.Q.U.A. (Assistenza quotidiana anziani che effettua assistenza a domicilio alle persone in tali condizioni) la realtà è quella che dice l’indagine citata, ma si tratterebbe di fare un salto culturale rispetto al problema degli anziani. “Oggi si procede con una disgregazione continua della famiglia” dice D’Aquaro “invece di andare nel senso di una riunificazione della famiglia proprio partendo dagli anziani”. “Strategie sociali” spiega “e scelte culturali che porterebbero a ridurre le spese e a rimediare a una serie di problematiche che in modo naturale si vanno a produrre con l’avanzare dell’età della persona”.



D’Aquaro, tanti anziani in lista d’attesa per un posto di ricovero: è così anche a Milano?

Partendo dalla nostra esperienza di assistenza a domicilio, la casa di riposo resta ovviamente un riferimento importante nel senso del numero di tali realtà. Di fatto ci troviamo spesso davanti a situazioni come un decadimento particolarmente grave o pazienti che escono dall’ospedale e che hanno una situazione generale piuttosto complessa. Per cui anche una semplice riabilitazione rispetto a una fase così precoce come una dimissione risulta molto complessa da fare a domicilio.



La casa di riposo, o residenza anziani, come necessità inevitabile?

In Lombardia e a Milano i numeri rispetto a liste d’attesa non sono così alti, anche perché la nostra regione rispetto ad altre è avanti anni luce in questo senso. La relazione tra noi e la casa di riposo però resta fondamentale. Però c’è una cosa abbastanza evidente anche ai non addetti ai lavori di cui si parla poco.

Che cosa?

Che le famiglie ancor prima che gli anziani non hanno una vera cultura della domiciliarità.

Questo cosa significa?

Ci si trova spesso  ad avere il nonno che sta bene e che è autonomo e che poi avendo un equilibrio fragile essendo anziano nel giro di poco si trova in una situazione in cui non può più badare a se stesso. In tali situazioni la famiglia si trova nel panico e il ricorso alla casa di riposo diventa unica via d’uscita. Quella che sembra la soluzione più ottimale è sempre il ricorso alla casa di riposo.



Invece?

Torno al discorso iniziale delle liste d’attesa: il problema esiste, ma non è legato alla necessità di creare nuove case di riposo piuttosto a una mancanza di cultura della famiglia. Le liste di attesa cioè sono la conseguenza di una necessità da parte delle famiglie, ma io suggerisco che vada invece riscoperta la famiglia stessa. Quello che dico forse è poco sociale e poco politico, ma è una questione che va vissuta ciascuno di noi come persona. E di conseguenza anche studiare strategie per poter tenere a casa propria l’anziano che non è più il nonno ma adesso è un paziente.

Resta il fatto, come si dice, che l’Italia “è un Paese per vecchi”, dove gli anziani sono davvero molti e lo saranno ancora di più.

Anche qui però intravvedo un cambiamento epocale  e culturale nel giro di circa dieci anni.

Quale?

Quelli che oggi sono i cosiddetti manager e che hanno 60, 65 anni fra dieci anni non credo che vorranno abbandonare il loro luogo dove hanno anche ricordi, e questo succederà molto di più di quanto succeda agli anziani di oggi che per un discorso culturale e abitudini di vita, parliamo di anziani cresciuti nel clima del dopoguerra, si sono un po’ sempre adattati a tutto.

Per cui secondo lei in futuro ci sarà meno ricorso alle case di riposo e più assistenza in famiglia?

Cerchiamo di capire di cosa c’è veramente bisogno. Il bisogno è quello di allargare le conoscenze, fare un discorso culturale, che si cominci cioè a parlare della terza età non solo come il nonno saggio, tutte cose molto belle e vere, ma che ne parlino i giovani di oggi, noi che adesso abbiamo 40 o 50 anni. Cominciamo ad avere consapevolezza di tutta una serie di strategie intanto per applicarle a noi stessi e parlo della prevenzione.  Se mi curo evito cioè una serie di problemi, di limitazioni funzionali, secondo se conosco delle strategie utili le posso già applicare ai miei genitori.

Ci spieghi cosa intende per strategie.

Faccio un esempio. Pensare di continuare a costruire case e strutture abitative fatte di monolocali bilocali sicuramente dà soddisfazione ai giovani che vogliono  uscire di casa, e questo va benissimo.  Ma cominciamo anche a pensare a strutture abitative che abbiano sullo stesso piano un bilocale o un trilocale e a fianco un monolocale. In questo modo uno la famiglia può tornare a radunarsi. Un tempo c’erano le case dove si viveva insieme figli, nonni e magari anche cugini. Quello che faccio è un discorso di strategia che guarda molto più in là .

La famiglia come autentica casa di accoglienza anche per gli anziani?

Infatti. O si continuano a proporre elementi che vanno incontro alla disgregazione della famiglia, non si va invece nel senso della riunificazione della famiglia. Cosa che permette anche di ridurre le spese e potersi aiutare rimediando così a una serie di problematiche che  si vanno a produrre normalmente con l’avanzare dell’età.