Gentile Direttore,
intorno allo spettacolo di Castellucci si è aperto un dibattito intenso che ha coinvolto personalità tra le più significative. Provocato, non voglio entrare nel merito di una valutazione artistica o morale del medesimo, quanto piuttosto offrire il contraccolpo che tale dibattito ha generato in me.
In un breve, ma bellissimo, filmato – recuperabile su youtube – intitolato The Butterfly Circus, il vero protagonista, a mio parere, è il direttore del Circo stesso – Mendez – che tiene duro sul «mettere in scena uno spettacolo diverso» da quello offerto da altri circhi perché, sostiene, «Non c’è alcunché di edificante nell’esporre le imperfezioni di un uomo».
Ti viene in mente che il dramma del padre che vede e sente la propria vita dissolversi, il dramma del figlio che si riscopre incapace di accudire un padre incontinente è un dramma reale che incontriamo tutti i giorni: quanti sono i ragazzi che incontro quotidianamente nel mio lavoro (dirigo un Centro di formazione professionale) che arrivano pensando a se stessi come ad una merda, per cui sembra che il limite proprio e della propria famiglia e dei propri amici sia l’unico orizzonte possibile.
Eppure… proprio il nostro centro nasce perché Emilia (assistente sociale ed educatrice in quel di Carate Brianza) per la certezza di positività dell’esperienza incontrata nella comunità cristiana non ha voluto arrendersi di fronte al disagio dei giovani e si è offerta come compagna di avventura: «Stai tranquillo, la tua ansia non mi manda in crisi; io sono salda qui, in un terreno più saldo di quello dove sei tu. Se ti attacchi, ti tiro dalla mia parte» era solita ripetere raccontando della sua prima esperienza di affido, l’origine di In-presa (E. Boffi, Emilia e i suoi ragazzi, Lindau). Ha aperto le porte di casa sua ad un ragazzo che nessuno voleva e da lì si è generata un’opera che propone formazione per 350 ragazzi.
Il volto del Figlio di Dio non è un quadro, “verbum caro factum est”, si è fatto carne e sangue e cammina per i quartieri difficili e incontra ragazzi che non ce la fanno, drammi pesanti e ti dice «se ti attacchi, ti tiro dalla mia parte».
“L’uomo incomincia un cammino e questo cammino desta stupore perché il termine è la felicità, è il destino. Passano i giorni, passano i mesi, passano gli anni e questo deve superare tante fatiche, tanti imbrogli, tante confusioni, tanti sbagli, deve superare continuamente se stesso. Allora tu non hai soltanto l’ammirazione perché è fatto per un destino eterno, ma hai anche una commozione perché deve far fatica per quello. Dio vede l’uomo fatto per la felicità e in preda a tentazioni e debolezze e a confusione che gli impediscono questo, che gli attardano il cammino, glielo fanno più difficile. Allora la compassione verso l’uomo diventa commozione, gli va là vicino e gli dice: «Dai, coraggio, che vengo anch’io con te»” (L.Giussani, Si può vivere così!?, Rizzoli).
Mio figlio fa il secondo anno di Fisioterapia e in uno stage si è trovato a seguire pazienti allettati e in coma. Tornando alla sera dal lavoro si è sorpreso nel raccontare come affrontava quei pazienti: «Ho iniziato a recitare il Veni Sancte Spiritus prima di entrare in stanza con quei pazienti difficili perché ho pensato che l’unico che potesse prendersi cura di loro fosse proprio Gesù e ti assicuro, papà, che mi sono ritrovato addosso una tenerezza che non è mia».
Il Volto del Figlio di Dio accade con tratti inconfondibili, a me, ora, attraverso uno che si piega verso di me e mi dice «Dai, coraggio, che vengo anch’io con te». Riconoscerlo e accoglierlo è semplice, occorre accettare l’invito del Santo Padre a far entrare un po’ di aria fresca nel bunker della nostra stanza.