“La proposta del Pd è un’iniziativa demagogica, che non riconosce la realtà dei fatti e mira a distogliere l’attenzione su aspetti secondari perché manca la volontà di occuparsi di quelli più seri e impegnativi”. Il professor Gian Carlo Blangiardo commenta così le dichiarazioni dell’assessore comunale al Welfare, Pierfrancesco Majorino, che ha chiesto al sindaco Giuliano Pisapia di concedere la cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati. Docente di Demografia all’Università Bicocca, Blangiardo è autore del libro “L’immigrato, una risorsa per Milano”. Nel corso di un’intervista per “Ilsussidiario.net”, il professore sottolinea che “occorre favorire l’integrazione delle seconde generazioni di immigrati, soprattutto se minorenni, all’interno del loro contesto familiare. Il fatto che un bambino, figlio di cittadini stranieri, ottenga il passaporto italiano non favorisce in alcun modo il suo inserimento nella nostra società”.
Professor Blangiardo, che cosa ne pensa della proposta di concedere la cittadinanza onoraria ai figli di immigrati nati in Italia?
Il Pd intende così mostrare la sua sensibilità rispetto a un tema che è importante, ma che va affrontato a un livello complessivo. Sono diverse le perplessità sollevate da questa proposta. In primo luogo, concedere la cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati è come dare il benvenuto a questi ultimi, ma non ai neonati italiani. Inoltre, essendo una scelta dei singoli Comuni, l’effetto sarebbe che il bambino marocchino che nasce a Milano è cittadino onorario, mentre quello di Sesto San Giovanni risulta di serie B. L’iniziativa del Pd quindi più che favorire l’integrazione finisce per creare solo altre discriminazioni, tanto più che magari i due immigrati nati in due Comuni diversi si trovano a frequentare la stessa scuola.
Il vero obiettivo del Pd è concedere il passaporto italiano a tutti gli immigrati nati in Italia. Ma sarebbe realmente un sinonimo di maggiori diritti?
A cambiare in meglio o in peggio la vita di un minorenne non è certamente quello che è scritto sul suo passaporto. Sarebbe molto più utile e importante se, nel momento in cui suo padre si reca a chiedere il permesso di soggiorno si cercasse di semplificare le procedure burocratiche, anziché costringerlo a mettersi in coda allo sportello alle 5 del mattino. Si cerca così di ostentare la sensibilità degli italiani verso gli stranieri, e poi si ignorano i veri problemi che la popolazione immigrata deve affrontare. Invece di offrire un riconoscimento simbolico, sarebbe meglio darsi da fare per migliorare la vita quotidiana degli immigrati. Quella del Pd è un’iniziativa demagogica , che non riconosce la realtà dei fatti e che mira a distogliere l’attenzione su aspetti secondari perché non c’è la volontà di occuparsi di quelli più seri e impegnativi.
E quali sarebbero i veri problemi?
Occorre creare quelle condizioni per cui i bambini, soprattutto nel mondo della scuola e dello sport, non abbiano differenze. Per esempio, se una classe si reca in gita è giusto che anche il bambino straniero possa partecipare senza che i suoi genitori debbano sbrigare complicate pratiche burocratiche per i visti. Inoltre, l’immigrato che pratica uno sport in Italia dovrebbe avere il diritto di fare parte della nazionale giovanile italiana come chi ha la cittadinanza del nostro Paese. Impedirlo è una discriminazione priva di alcuna logica, e per superarla basterebbe che il Coni accettasse tutti gli atleti sulla base del luogo di residenza e non invece della cittadinanza. Una volta risolti questi aspetti concreti, concedere la cittadinanza italiana agli stranieri nati in Italia non aggiungerebbe nulla.
Qual è il motivo per cui in Italia, a differenza che negli Usa, la cittadinanza non è legata alla nascita?
L’obiettivo è evitare che si creino situazioni poco chiare, come quando un bambino ha il passaporto italiano e il resto della sua famiglia è extracomunitaria. Il problema dell’immigrazione va affrontato in un’ottica familiare. Quello che non sembra comprendere chi chiede la cittadinanza fin dalla nascita, è che il figlio di immigrati è un minorenne e in quanto tale è sotto la responsabilità di persone maggiorenni, il padre e la madre. Finché quel ragazzino non avrà 18 anni, sarà necessario che ci sia qualcuno che si prenda cura di lui. Dal momento che per quanto riguarda la residenza, i viaggi e tutti gli spostamenti il bambino deve seguire i genitori, è giusto che abbia anche la cittadinanza dei suoi genitori.
Il vero problema quindi è l’iter attraverso cui i genitori ottengono la cittadinanza italiana?
Esattamente. La naturalizzazione è un percorso molto lungo, per il quale sono necessari dieci anni di residenza, e spesso bastano sei mesi all’estero per dovere ripartire da zero. Un aspetto, quest’ultimo, che è applicato in modo diverso a seconda della persona che interpreta la legge. Sono queste le ingiustizie che andrebbero evitate, per non parlare del fatto che le lentezze burocratiche spesso portano i dieci anni iniziali fino a 15. Ma soprattutto, occorrerebbe cambiare le regole in modo tale che per un nucleo familiare immigrato i tempi di naturalizzazione siano ridotti rispetto ai singoli individui stranieri. Un conto è infatti chi si stabilisce con la famiglia in Italia, un altro chi viene nel nostro Paese soltanto per lavorare.
Il ministro Riccardi ha dichiarato: “Le misure di contrasto all’immigrazione sono nel nostro Paese quattro volte superiori rispetto a quelle utilizzate per le attività di sostegno e di integrazione”, e ha aggiunto che andrebbero invertite le proporzioni. Lei è d’accordo?
Non mi risulta che attualmente ci sia l’Esercito schierato per proteggere le coste italiane dagli sbarchi degli immigrati. In linea di massima c’è sempre stata una generale disponibilità dello Stato italiano, a prescindere dal colore dei governi, nel soccorrere i barconi e nell’intervenire per sistemare le cose quando c’erano momenti di particolare tensione. E questo è avvenuto anche quando il ministro degli Interni era Roberto Maroni, cioè un esponente della Lega nord. Non vedo quindi, dal punto di vista pratico, come si potrebbe distogliere del denaro dal contrasto per indirizzarlo all’integrazione, in quanto il contrasto appunto non è mai avvenuto in forme massicce.
Vinicio Ongini ha pubblicato un libro, “Noi domani. Viaggio nella scuola multiculturale”, in cui afferma che le classi migliori sarebbero quelle dove ci sono degli studenti extracomunitari. E’ realmente così?
E’ una regola di buonsenso che più una classe è eterogenea, e maggiore è la differenza nel livello di apprendimento degli studenti. Ciò vale anche in una classe di soli italiani, provenienti da ambiti sociali diversi, e quindi a maggior ragione occorre tenerne conto quando sono presenti bambini stranieri. Ovviamente, l’energia e l’abilità del professore possono ridurre l’impatto di questa eterogeneità, che comunque porta a fare sì che qualsiasi programma non sia adeguato né agli alunni stranieri né a quelli italiani. Al contrario di una classe omogenea, dove le attività si basano sul livello di apprendimento medio.
(Pietro Vernizzi)