L’agenzia Standard&Poor’s ha annunciato il taglio del rating di 14 amministrazioni locali italiane, che passa così a BB+. Le amministrazioni coinvolte sono le regioni Friuli-Venezia Giulia, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Umbria e Sicilia, la provincia di Roma, e i comuni di Firenze, Genova, Milano, Roma, Bologna e Torino. Per quest’ultima città l’agenzia mantiene una osservazione negativa, minacciando ulteriori tagli al rating alla luce dei debiti in scadenza nel 2012. Il giornalista de Il Sole 24 Ore, Gianni Trovati, spiega in questa intervista per ilsussidiario.net che si tratta in realtà di un «taglio previsto, che spesso accade come conseguenza più o meno automatica dei declassamenti del debito sovrano nazionale: la stessa Standard&Poor’s aveva abbassato qualche settimana fa il rating dell’Italia di due notch, seguita poi da Fitch settimana scorsa, e quando avviene questo il debito degli enti locali viene sostanzialmente collegato al rischio statale. Quindi questo abbassamento ha una ragione prima di tutto tecnica».
Quali saranno adesso le principali conseguenze?
Le conseguenze sul debito degli enti locali sono meno dirette rispetto a quelle del debito nazionale, in cui invece si ha automaticamente un rincaro degli interessi dovuto all’abbassamento dell’affidabilità di mercato. Questo perché si tratta di un mercato più protetto e perché metà di tale debito è nelle mani della Cassa Depositi e Prestiti. Il problema è che questo declassamento, che segue più o meno sempre in maniera abbastanza puntuale il declassamento del debito nazionale, rende più difficile in prospettiva la sostenibilità dell’indebitamento e, soprattutto nel caso delle regioni, fare in modo che i fondi internazionali partecipino all’acquisto del loro debito.
Si spieghi meglio.
Per fare un esempio, i fondi pensione americani per statuto non acquistano debito sotto un certo rating proprio per una politica di investimento, quindi questo taglio potrebbe sottrarre il futuro debito a possibili offerte di mercato che invece prima aveva. Quindi questa “coincidenza” tra downgrading statale e downgrading del debito locale mostra in maniera evidente che se il contesto nazionale è problematico si hanno dei riflessi indiretti, ma certi, anche sulle politiche di bilancio degli enti territoriali.
Secondo lei, a fronte dei tagli agli enti locali previsti dalla manovra del governo Monti, questo taglio di rating si preannuncia ancora più pesante?
Anche le regioni e gli enti locali per la prima volta sono obbligati a ridurre lo stock di indebitamento, perché il debito pubblico è formato dal debito statale più quello degli enti territoriali. Il problema però è che in un contesto di tagli e di difficile reperimento delle risorse, non è semplice mettersi a tagliare anche il debito: negli anni scorsi, per esempio, quando c’erano ancora un po’ di risorse, ci sono state delle estinzioni anticipate di mutui e altre azioni del genere che hanno abbassato leggermente l’indebitamento di alcuni enti. Il fatto è che se i fondi nazionali vengono tagliati e il reperimento delle risorse diventa più difficile, anche questa possibilità di estinzione anticipata diventa ovviamente molto più complessa.
Si rischia quindi una sorta di squilibrio tra Stato e Comuni?
Certamente la coperta è sempre più corta, per cui il rischio che un pezzo di Stato, come sono i Comuni, rimanga scoperto è sempre più alta. La coperta è una, ma gli attori sono due, anzi tre, perché ci sono anche le Regioni.
Adesso le amministrazioni colpite dal taglio come dovrebbero muoversi?
Certamente è necessario costruire bilanci sempre più sostenibili senza il ricorso a ulteriore indebitamento che, in un contesto come questo, diventa una scelta sempre più rischiosa. Di conseguenza sarà necessario tagliare le spese, non c’è alternativa.
Questo taglio influirà quindi anche sui servizi…
Non c’è il minimo dubbio, perché la spesa di personale, che rappresenta un 35-40% della spesa complessiva corrente è incomprimibile, e anche se fosse possibile si andrebbe comunque a creare un problema sociale a cui poi bisognerebbe far fronte con ulteriori spese. Dei tagli quindi sono certamente previsti, ma il problema è che questa “via obbligata” interviene in una fase in cui invece il bisogno di servizi sociali locali è sempre più alto, perché diminuisce il reddito medio e aumentano disoccupazione, cassa integrazione e così via, mentre le risorse sono sempre minori.
Quindi a che scenari andiamo incontro?
Innanzitutto un tendenziale aumento della pressione fiscale a livello locale, soprattutto sull’Imu, e una contestuale azione di riduzione e razionalizzazione dei servizi che chiaramente porterà a un aumento del malcontento a livello locale. Sono però vie più o meno obbligate, e la cosa importante è riuscire a trovare un mix di questi due strumenti che non sia troppo “doloroso” per il contesto sociale locale.
(Claudio Perlini)