Solo il tempo ci dirà se la Lega 2.0, quella targata Roberto Maroni, avrà saputo superare dignitosamente il primo vero scoglio della sua navigazione alla scoperta di un nuovo mondo, meno folkloristico, ma non meno protagonista – nelle intenzioni – di quella del fondatore e padre-padrone per vent’anni, Umberto Bossi.
Per ora si finisce con un accordo per l’azzeramento della giunta regionale e dimezzamento del numero degli assessori, nuovo programma ed abolizione del listino bloccato. “Mai chieste le elezioni ad aprile”, si affretta a precisare Maroni, “non sono un irresponsabile e non cedo alle lusinghe o alle minacce della sinistra”. Questo però potrebbe non bastare ai tanti che avevano sperato che il Carroccio desse il colpo di grazia al governo formigoniano.
Capofila di questa ala dura il segretario lombardo Matteo Salvini, che ancora in mattinata aveva usato toni da scontro frontale. Aveva detto che quando sente puzza di ‘ndrangheta il Carroccio non ci sta, strappando applausi a scena aperta su Facebook da parte dei militanti, fra i quali è crescente il disagio per la convivenza con un Pdl sempre più screditato, anche all’ombra della Madonnina, dalle inchieste sulla corruzione. Questi stessi militanti avevano sperato che il caso Zambetti inducesse i vertici di via Bellerio a staccare finalmente la spina, convinti da tempo che sia fondato il vecchio adagio, “meglio soli che male accompagnati”.
Così non è stato, anche se Maroni rivendica come un successo del Carroccio l’azzeramento della giunta lombarda ed il nuovo programma che Formigoni si accinge a scrivere. Il luogo di confronto fra le due anime che convivono sotto lo stesso tetto di via Bellerio sarà il consiglio federale, convocato dal segretario per sabato prossimo. Bisognerà vedere, però, se i mal di pancia, che sono oggettivi, avranno il coraggio di manifestarsi. In quel caso potrebbero anche saldarsi con altri malesseri, quelli dei bossiani sempre più nell’angolo.
Per la verità è stato proprio Bossi, pochi minuti prima che l’accordo di via dell’Umiltà fosse annunciato, a fornire al suo ex delfino una inattesa sponda, dichiarando che lui al posto di Formigoni non si sarebbe dimesso. Maroni quindi ha saputo imporre la sua linea dialogante, ed ora si augura di coglierne i frutti. Del resto sconfessare del tutto 12 anni di collaborazione di governo con Formigoni gli sarebbe risultato difficile, ed infatti ha dovuto riconoscere che l’azione di governo dell’ente regione lombardo è un modello di eccellenza in tutti i settori.
Ma se al 38esimo piano di Palazzo Lombardia si spargesse la convinzione di averla scampata bella e di poter continuare senza sostanziali novità, la presidenza della più grande regione italiana cadrebbe in un errore che potrebbe rivelarsi fatale. Per Formigoni ora si tratta di procedere a vista. Sino a gennaio la prosecuzione della sua azione di governo è assicurata, ma è ragionevole aspettarsi che la Lega alzi sempre più il prezzo del suo sostegno. Uno dei tasselli fondamentali sarà, ad esempio, il progetto della macroregione del Nord, idea leghista che Formigoni sta facendo sempre più propria.
Con l’anno nuovo, però, tutto ritornerà in discussione, perché ci sarà da confrontarsi con il tema scottante delle alleanze per affrontare le elezioni politiche. Lo hanno fatto capire le dichiarazioni di alcuni esponenti di vertice del Carroccio, come il sindaco di Verona, Flavio Tosi: alla Lega l’unica cosa che interessa è proprio la presidenza della regione più grande e popolosa d’Italia. Se il Pdl (o come si chiamerà allora) fosse in grado di poter offrire la candidatura per la poltrona oggi occupata da Formigoni, il dialogo con il Carroccio potrebbe essere più facile.
Resta da vedere come verrebbe valutato dagli elettori il riunirsi dell’alleanza del 2008, anche se circolano sondaggi che – a legge elettorale invariata – segnalano come basterebbe una vittoria al Senato in Veneto e Lombardia per sottrarre al centrosinistra bersanian-vendoliano la maggioranza di Palazzo Madama, creando le condizioni per una nuova grande coalizione. Tutto questo a meno che alle primarie del centrosinistra non ci fosse un’affermazione a sorpresa di Renzi. In quel caso tutti gli schemi, anche per la Lega, sarebbero da ripensare.