Lo Stato non sottovaluti le sirene della malavita organizzata in tempi di crisi. Ma faccia sentire di più la sua presenza e protezione. Potrebbe essere riassunto così l’appello lanciato da Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani di Milano, che per ilSussidiario.net si è reso disponibile a concedere un intervista a commento della effettiva presenza o meno delle mafie di ogni colore e tipo, proprio nei giorni in cui la loro azione sembra essere molto vicina alla politica lombarda. Ecco cosa ci ha detto.



Avvocato, a ruota dei recenti fatti di cronaca che hanno visto coinvolti noti esponenti della giunta regionale lombarda in presunti casi di compravendita di voti con la ‘ndrangheta, si è tornato a parlare della presenza della malavita organizzata a Milano e provincia. Lei, che da tempo e per lavoro si interfaccia con l’imprenditoria artigiana locale, che idea si è fatto del problema? È una minaccia reale per chi ha attività in queste zone?



È un fenomeno di cui non abbiamo percezione diretta e crediamo comunque che sia scarsamente presente per quanto concerne i piccoli imprenditori artigiani. Dico che non ne abbiamo percezione diretta perché di segnalazioni in questo senso da parte dei nostri associati non ne sono pervenute ed è quindi difficile dare una misura. Ed è inoltre difficile pensare che, a logica, ad essere coinvolti siano gli artigiani perché si tratta di imprese di piccolissime dimensioni, con uno o due dipendenti, e come tali di scarso interesse per la criminalità organizzata che invece vuole infiltrarsi in attività di maggiori dimensioni. Mi risulta difficile immaginare che la mafia o la ’ndrangheta possano aprire un negozio di parrucchiere o una gelateria piuttosto che una panetteria. Quello che invece registriamo con sorpresa è che ci sono certi grandi appalti a cui, ripeto, i piccoli artigiani normalmente non partecipano che spesso sono assegnati ad imprese non provenienti dalla Lombardia e praticando fortissimi ribassi di prezzo.



Quali sono i pericoli maggiori?

Il fenomeno del racket purtroppo credo che sia più diffuso di quel che normalmente si pensa anche perché spesso, per timore, le imprese non lo denunciano. Poi c’è il fenomeno della concorrenza sleale: trattandosi di imprese, quelle colluse con la malavita, che, potendo godere di capitali illeciti e potenzialmente a costo zero perché non devono fare finanziamenti in banca, si pongono sul mercato con prezzi artificialmente più bassi di quelli delle altre attività regolari, anche per il fatto che la loro attività principale è proprio il riciclo del denaro sporco.  E questo crea una distorsione del mercato a loro favore.

Cosa fate, invece, per prevenire i casi di estorsione vera e propria?

Noi facciamo sempre presente ai nostri associati la possibilità di segnalare simili situazioni all’associazione. I nostri legali restano a disposizione di chi subisce eventuali tentativi di estorsione e sono pronti ad avviare il percorso di denuncia. Anche se fino ad ora non ci sono giunte segnalazioni di questa specie. Il nostro principale timore è che la vittima si possa sentire sola o abbandonata. Da questo punto di vista credo che lo Stato debba dare segnali più forti e confortanti nei confronti di chi trova il coraggio di farlo. Bisognerebbe fare di più in questa direzione.

Cosa può indurre in tentazione un piccolo artigiano?

Il primo rischio per molti piccoli imprenditori è quello, quando le banche chiudono i rubinetti del credito, di finire vittime dell’usura spinti dalla disperazione. Il secondo rischio che corrono è quello di entrare come subappaltatori ad un appalto gestito da gruppi malavitosi, magari perché abbagliati dalla possibilità di fare soldi. E questo non è un aspetto da sottovalutare in tempi di crisi. Ci si può finire inconsapevolmente oppure volendolo.

 

(Matteo Rigamonti)