In seguito alla condanna dopo il processo di primo grado subita da Pierangelo Daccò, è intervenuto il presidente della Regione Lombardia. Come si sa, l’uomo d’affari Daccò era coinvolto nel crac dell’ospedale San Raffaele, accusato di aver distorto fondi dell’ospedale stesso. L’accusa nei suoi confronti è quella di associazione per delinquere, bancarotta e altri reati, accusa che gli è costata una condanna a dieci anni di detenzione, il doppio di quanto aveva chiesto l’accusa stessa, e la restituzione di cinque milioni di euro. In questi ultimi mesi nei quali si è svolta l’inchiesta, il nome di Daccò è stato spesso associato a quello di Roberto Formigoni, presidente della regione Lombardia. I due in quanto conoscenti sono stati  sospettati di aver avuto anche rapporti di affari, con Formigoni che avrebbe favorito l’attività di Daccò nel campo della sanità lombarda in cambio di favori. Formigoni, che si è sempre dichiarato del tutto estraneo ai fatti, ha oggi rilasciato una dichiarazione in cui sottolinea la totale estraneità della Regione alla vicenda. “La magistratura ha indagato per 16 mesi e nessun addebito è stato sollevato nei confronti della Regione: né del presidente, né degli assessori, né dei dirigenti o dei funzionari. Questa è una vicenda che riguarda alcuni privati” ha detto. Il presidente della Lombardia ha poi detto anche che il crac del San Raffaele in realtà non è ma esistito in quanto rilevato da altro operatore per una cifra molto consistente. Con la condanna di ieri, Daccò dovrà versare una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari a cinque milioni di euro che saranno versati alla parte civile rappresentata dalla fondazione e dai commissari dell’ospedale. Critico l’avvocato difensore dell’affarista, che ha definito la sentenza una sentenza con i piedi d’argilla. Essa, ha detto, si basa “sugli stessi identici motivi per i quali la Cassazione ha rigettato la prima ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del mio assistito”. Ovviamente ha annunciato ricorso in appello mentre le motivazioni della condanna saranno rese note entro novanta giorni. 



Daccò risulta indagato anche in un’altra inchiesta dove risulta indagato anche il presidente della Regione Lombardia.

 

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